Piano di rientro, inizia la battaglia in Consiglio La notte delle critiche bipartisan e degli insulti

Il momento più pepato è probabilmente l’intervento di Giuseppe Castiglione di Grande Catania, che urla un sentito «Ipocrita!» all’indirizzo del collega del Partito democratico Niccolò Notarbartolo. Un attimo vivace nel corso di una seduta fiume del Consiglio comunale di Catania. La prima delle tre al termine delle quali si dovrà arrivare alla votazione del nuovo piano di rientro del Comune. Ieri sera otto interventi hanno portato via cinque ore di conversazione in un’aula consiliare a tratti infuocata e a tratti annoiata. E questo nonostante la presenza di un vasto uditorio: un pubblico composto dai componenti del coordinamento Catania non si vende – ma non solo – che, al momento della spiegazione delle alienazioni dei beni immobili di proprietà dell’amministrazione, si alzano in piedi e mostrano i fogli di carta con i loro slogan. Tanto basta alla presidente del Consiglio Francesca Raciti per chiedere ordine; e ai vigili urbani di Palazzo degli elefanti per innervosirsi.

Ma, passato questo, la seduta scorre come da manuale fino a dopo la mezzanotte. Ad aprirla è l’assessore al Bilancio Giuseppe Girlando che, in 50 minuti, riassume le misure del suo piano di rientro. Suo perché se l’è trovato tra le mani quando è stato nominato titolare dell’assessorato, suo perché l’ha adottato e difeso fino alla fine. Fino a quando, cioè, non è diventato indifendibile. E suo, adesso, perché è a lui che sono diretti gli strali di un’aula per cui questa rimodulazione non s’ha da fare. O, almeno, non così. Le critiche sono quelle ormai note e riguardano i numeri: troppo soggetti a possibili variabili per poterci fondare sopra, secondo buona parte del senato cittadino, un piano di riequilibrio che non porti, tra un po’, al dissesto. «Nella relazione presentata non si spiega nessuna delle misure che dovrebbe portare al riequilibrio. Perché?», domanda Notarbartolo, mentre Girlando alza gli occhi al cielo. «Non mi farò molti amici – premette il dissidente dei dem – È che la politica catanese su una delibera così importante non sta dando bella mostra di sé».

Alcuni colleghi sorridono, altri si arrabbiano. Lui continua e lancia una frecciatina anche al neonominato assessore Nuccio Lombardo, «l’Mpa che siede in giunta». Ma poi apre: «Assessore, lei ha ragione: diversi fattori di disequilibrio non sono dipesi da questa amministrazione, ma neanche di quella precedente – ammette – Però il tempo in cui si scaricano le responsabilità deve finire». A difendere in parte Girlando è il consigliere di opposizione Sebastiano Anastasi (Grande Catania): «Io questo piano di riequilibrio non lo voterò, lo contesterò – anticipa Anastasi, ex presidente di municipalità – Ma devo dire, assessore, che in questi mesi ho visto lei lasciato da solo. Il piano di rientro di per sé è una cosa rognosa, ma qualcuno dovrebbe arrossire nel lasciare un uomo abbandonato a fare una cosa come questa». Il riferimento è al sindaco Enzo Bianco, assente anche ieri sera alla discussione consiliare.

Meno gentile è il vicepresidente del consiglio comunale Sebastiano Arcidiacono (gruppo misto): «Dal 2013 al 30 giugno 2016, assessore, lei ha quadruplicato il ricorso alle anticipazioni di tesoreria. Che sono, per usare termini più semplici, le scoperture bancarie alle quali ciascuno di noi ogni tanto può esporre il suo conto corrente, pur tentando di evitarlo». «A che serve tutto questo? – domanda Arcidiacono – A salvare una stagione politica? Io sono sempre stato contrario al dissesto. Penso però che la cosa più grave non sia l’eventuale danno erariale. Ma quello politico e morale, di cui vedremo i risultati molto presto». E l’ideale conclusione del discorso di Arcidiacono arriva dal consigliere Agatino Lanzafame (Catania futura): «Io non voglio un risanamento a tutti i costi. Io voglio un risanamento che gravi sulle tasche di chi ha fatto gli sprechi e sulle spese inutili. Non dismettiamo il patrimonio che deve essere al servizio dei catanesi – chiosa Lanzafame – Facciamo un piano attento a chi ha bisogno dell’intervento del pubblico come elemento di giustizia sociale. Io forse la penso al contrario di Andreotti: tirare le cuoia, in alcuni casi, è meglio che tirare a campare».


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