Giarre, 35 persone a processo per blocco dei treni «Va in tribunale la protesta per il diritto alla salute»

Tutti rinviati a giudizio. È la decisione della giudice Gaetana Bernabò Distefano sulle 35 persone accusate, a vario titolo, di interruzione di pubblico servizio e attentato alla sicurezza dei trasporti, per avere manifestato sui binari della stazione di Giarre contro la chiusura del pronto soccorso del Comune ionico. La vicenda è legata a doppio filo con quella della morte della 52enne Maria Mercurio, colta da un malore mentre si trova in casa e deceduta poco dopo. Quel giorno – è il 23 maggio 2015 – i parenti della donna aggrediscono i soccorritori, l’ambulanza del 118 viene danneggiata e nel Giarrese, dove da tempo si protesta per via dello smantellamento del presidio di emergenza, il clima si fa infuocato.

Sui social network parte un invito a scendere in strada. A lanciarlo è il movimento in difesa dell’ospedale di Giarre, il cui portavoce è Angelo La Rosa. Uno dei 35 ex indagati e adesso imputati. Accusati di avere impedito ad alcuni treni di ripartire dopo la fermata programmata nella cittadina costiera. «E così adesso dovremo affrontare un processo», dice La Rosa con amarezza. «Le eccezioni sollevate da parte dei nostri avvocati non sono servite a niente. Non è bastato fare notare che era un momento particolare, che erano coinvolti i familiari della vittima e che il nostro era dissenso nei confronti di scelte politiche sbagliate – continua il cittadino – La nostra protesta per il diritto alla salute negato adesso viene processata».

La prima udienza del procedimento giudiziario al tribunale di Catania è fissata per il 23 febbraio 2018. «E già questo lascia intendere che sarà una cosa ben lunga da affrontare – continua l’attivista – Speravamo in un non luogo a procedere che non c’è stato. Non siamo neanche convinti che le accuse reggano: dove sta l’attentato alla sicurezza dei trasporti, se le uniche vite che abbiamo messo in pericolo, al limite, sarebbero state le nostre?». L’idea degli imputati è «che tutto questo stia avvenendo per punire la reale indignazione di un’intera comunità per l’ennesima morte».

Il caso legato a Maria Mercurio era arrivato in un mese che già aveva fatto registrare una scomparsa dubbia. Alcune settimane prima una donna, ricoverata nel reparto di Geriatria dell’ospedale, era morta dopo essersi sentita male: anche in quella circostanza, per i familiari, il medico sarebbe arrivato troppo tardi. «Quel 23 maggio la città ha preso coscienza di ciò che stava succedendo alla sanità a Giarre, e ha scelto di manifestare in maniera eclatante – conclude La Rosa – Oggi è la stessa città che viene processata. Abbiamo la massima fiducia nella magistratura, la nostra speranza è che la sentenza chiuda definitivamente questa storia, e che nel frattempo le istituzioni non ci lascino da soli».

A reggere il Comune di Giarre da qualche mese siede Angelo D’Anna, ex presidente della Rete delle associazioni che si era battuta contro la chiusura del pronto soccorso. A combattere per lo stesso scopo era anche la sua avversaria per la corsa alla poltrona di primo cittadino: Tania Spitaleri era stata la presidente della commissione consiliare contro la chiusura dell’ospedale, ed è stata identificata anche lei dalle forze dell’ordine alla stazione di Giarre. Finendo in mezzo al processo. «In primo luogo manifestiamo la nostra solidarietà nei confronti di tutt’e 35 le persone imputate – afferma il vicesindaco Salvo Vitale – Con la giunta non si è ancora discusso di possibili interventi o prese di posizione su questo rinvio a giudizio, ma ritengo che ne parleremo a breve». Per Vitale, numero due di D’Anna, «il tema del pronto soccorso è sentito: ribadiamo e ribadiremo la nostra contrarietà all’abbandono dei presidi sanitari con tutta la nostra forza, in tutte le sedi opportune».


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La morte della 52enne Maria Mercurio, a maggio 2015, aveva fatto scendere in strada la comunità giarrese contro la chiusura del pronto soccorso. La manifestazione sui binari della stazione, però, si era conclusa con l'intervento delle forze dell'ordine. Adesso tutti i cittadini identificati sono stati rinviati a giudizio

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