Mafia, i Carcagnusi e il recupero crediti per il gioielliere I debiti da saldare: «Servono i panettoni per i ragazzi»

L’ingombrante fardello di un debito da saldare e la paura per le continue intimidazioni ricevute al telefono. L’ultima, la più eclatante, pronunciata direttamente dal presunto reggente del clan mafioso dei Carcagnusi: «Ti sciogghiu nda l’acidu». La storia è quella di un rappresentante di prodotti alimentari etneo, che all’occasione cura i conti di qualche attività come ragioniere. È contenuta nelle pagine dell’ordinanza dell’operazione antimafia Target, che la scorsa settimana ha inflitto un nuovo colpo ai fedelissimi del boss Nuccio Mazzei. La genesi risale al 2012, quando il professionista accumula un passivo da 55mila euro nei confronti di un gioielliere del centro storico di Catania per dei versamenti mai effettuati alla Serit. I soldi inizialmente vengono restituiti all’esercente con piccoli acconti ma dopo qualche anno la liquidità si esaurisce. «Chiedevo tempo», spiega il debitore quando viene sentito dalla polizia, «dovevo ancora 35mila euro».

Occhione diceva di essere il capo dei Carcagnusi

Anziché rivolgersi a un giudice per ottenere quanto dovuto, «Enzo il gioielliere» preferisce bussare alla porta dei Carcagnusi. Il clan si attiva immediatamente per una delle pratiche più diffuse e congeniali a Cosa nostra, quella del recupero crediti. La prima comparsa in questa storia è quella del cosiddetto amico buono. Identificato dagli inquirenti in Rosario Seminara. È lui che si presenta al ragioniere insolvente, in un incontro avvenuto davanti la farmacia Europa di corso Italia. «Mi ha detto che era stato incaricato di recuperare la somma che dovevo, per una cifra pari a 80mila euro». Per onorare il suo debito maggiorato il ragioniere inizia a versare mille euro alla fine di ogni mese, ma le pretese aumentano in poco tempo. «Mi disse che mi sarei dovuto presentare in via Belfiore, al panificio». Entra così in scena Carmelo Occhione. Capelli folti e brizzolati conosciuto nel quartiere di San Cristoforo con il diminutivo di Melo. Sulla carta panificatore, in realtà, almeno secondo i magistrati, reggente operativo degli affari di Nuccio Mazzei. «Diceva di essere il capo dei Carcagnusi», continua il ragioniere. 

La gabella del debito subisce ulteriori modifiche: duemila euro da consegnare il 20 di ogni mese oltre ai mille già pattuiti. Il ragioniere si trasforma in una sorta di bancomat tanto che sarebbe stato costretto anche a pagare una mensilità da 700 euro per l’affitto del panificio di Occhione, oltre a forniture gratuite di pasta e mozzarelle. Le richieste si fanno pressanti e a dicembre c’è anche quella «per i ragazzi». La vittima sarebbe stato costretto a comprare 60 panettoni, poi consegnati in via Belfiore, pare per allietare le feste natalizie del clan di Mazzei. I problemi diventano irrisolvibili a marzo dello scorso anno, quando le rate non possono essere più saldate. Nel gioco delle parti Seminara, secondo l’accusa, continua a recitare il ruolo dell’amico che vuole aiutare il ragioniere: «Siamo al venti e sono in diritto di fare discussioni, se era il due o il tre li cacciavo, hai capito?». Dall’altro lato della cornetta il debitore piange

Siamo al venti e sono in diritto di fare discussioni

A fermare le richieste di denaro non basta nemmeno l’arresto di Seminarasorpreso dagli agenti a maggio 2015 con alcune armi da guerra nascoste in salotto. I contatti con la vittima a questo punto sarebbero stati presi in mano direttamente da Occhione. In un incontro avvenuto al Caffè Rochè il presunto reggente non avrebbe voluto sentire ragioni. Un pugno sul tavolo, gli animi che si surriscaldano, il ragioniere con il terrore negli occhi e quella frase: «O paghi o ti sciogghiu nda l’acidu». I contatti tra la vittima e l’uomo accusato di essere il carnefice si interrompono. Il ragioniere non metterà più piede a Catania per evitare incontri spiacevoli e verrà favorito forse anche dagli arresti che nei mesi successivi decapitarono il clan. Una «brutta storia» come la definisce il giudice per le indagini preliminari, in cui i protagonisti dovranno rispondere del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia. E non di estorsione, come richiesto dalla procura. C’è un debito vero, a essere ingiusta è la modalità usata per azzerarlo.


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Il clan di Nuccio Mazzei si sarebbe mosso per fare risarcire un orafo a cui erano stati sottratti 55mila euro. Nel gioco delle parti c'è l'amico buono, che sarebbe Rosario Seminara, e colui che si sarebbe presentato come il capo, Carmelo Occhione. Il bersaglio versava tremila euro al mese oltre a comprare 60 panettoni per Natale

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