Il presunto mafioso che ordinò il delitto per gelosia «Ci i d’arreri… accussì, pum… e gridava, ittava vuci»

«Ci i d’arreriaccussì, pum… e gridava, ittava vuci». A parlare, senza sapere di essere intercettato è il presunto affiliato del clan mafioso degli Scalisi Massimo Merlo. L’uomo, aiutandosi con i gesti, ripercorre con il suo interlocutore quanto avvenuto il 14 novembre del 2014 ad Adrano, in via Cassarà. Mancano pochi minuti alle otto, quando viene ammazzato il 43enne Maurizio Maccarrone, impiegato di una struttura sanitaria di Biancavilla. Un delitto che sembra un regolamento di conti interno a Cosa nostra, almeno in un primo momento. Le modalità sono quelle che i boss utilizzano per mettere le cose in chiaro. I killer si avvicinano alla vittima, gli sparano un primo colpo, Maccarrone si accascia e poi lo finiscono con degli spari diretti in testa. In questo caso però dietro il delitto c’è una questione di gelosia. La vittima avrebbe avuto la colpa di avere avuto una relazione sentimentale con la stessa donna che per qualche mese era stata accanto ad Antonio Magro, ritenuto un affiliato del clan Morabito di Paternò

Il mandante, che attualmente si trova detenuto perché coinvolto nell’operazione En plein del 2015, è stato condannato lo scorso aprile a otto anni e otto mesi nel processo di primo grado con rito abbreviato. Secondo gli inquirenti partecipò, come vedetta, nell’omicidio del boss ergastolano Turi Leanza, avvenuto nel giugno 2014 a Paternò. A sparare a Maccarrone sarebbe invece stato Massimo Merlo, ritenuto un soldato del clan Scalisi e già arrestato nel 2007 per tentata estorsione a un imprenditore locale. Non ha invece un nome e cognome il conducente dello scooter che è stato utilizzato per compiere l’omicidio, come spiega il dirigente di polizia Giancarlo Consoli che ha guidato le indagini, insieme agli agenti della Squadra mobile di Antonio Salvago, che hanno portato al provvedimento di fermo nei confronti di Magro e Merlo: «Stiamo cercando di identificare il conducente dello scooter che quella mattina trasportava Merlo».

A dare la giusta direzione investigativa agli inquirenti sono state le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia: «Si tratta di Gaetano Di Marco, affiliato al clan Scalisi di Adrano, che ci ha consentito di acquisire una serie di elementi molto precisi, concordanti sia con il movente dell’omicidio che per quanto riguarda mandante ed esecutore», conclude Consoli.  C’è poi un’intercettazione fatta dalla polizia mentre Merlo «descrive ad un interlocutore le modalità dell’omicidio». Parole pronunciate in dialetto trovano conferma nelle riprese della telecamera del sistema di video sorveglianza piazzata all’esterno di una abitazione nei pressi del luogo dell’assassinio. Un omicidio ordinato da Magro al quale gli altri esponenti dei Laudani non si opposero: «Dalle indagini non risulta che altri componenti del clan non fossero d’accordo – puntualizza Consoli -. Magro ha deciso questo e si avvalso della collaborazione del gruppo che opera su Adrano, ovvero gli Scalisi. Probabilmente i vertici dei Laudani neanche lo sapevano».


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