Oxymoron, a Catania l’ossimoro dell’assenza   La mostra d’arte contemporanea del Disum

«Less is more!». Questo il motto minimalista dell’architetto tedesco Mies van der Rohe che Valentina Barbagallo, del Dipartimento di Scienze Umanistiche, ha imposto come un mantra alle sue tirocinanti. Quattordici studentesse che, partecipando al Laboratorio in progettazione curiatoriale promosso dall’università di Catania, hanno allestito la mostra d’arte contemporanea dal titolo Oxymoron, aperta tutti i pomeriggi di questa settimana presso la fondazione Brodbeck.

«All’università è tutto molto teorico» racconta una studentessa a MeridioNews. «Storia dell’arte, Museologia, Biblioteconomia, ma la pratica della curatela è tutta un’altra cosa. Questa esperienza – continua – ci ha fatto capire quanto lavoro c’è dietro ogni singolo quadro esposto: contattare i collezionisti, scegliere le opere, scrivere le didascalie, le biografie, prendere contatti». E soprattutto, spiega ancora, «togliere, togliere, togliere». «Oggi tutto si semplifica, è questa l’arte contemporanea», conclude.

E ce ne rendiamo ben conto entrando nella sala dell’allestimento. Un bianco quadrato, semplice semplice, liscio, apparentemente vuoto, se non fosse per il pubblico venuto per l’inaugurazione. Di certo molto è stato tolto, dato che il collezionista Paolo Brodbeck e sua figlia Nada hanno ricavato la struttura da un’ex fabbrica di liquirizia in zona Plebiscito bassa. Sulle quattro pareti ecco disposte in sequenza le opere, tutte più o meno collegate al tema della mostra, l’ossimoro. Che, spiegano le tirocinanti, è stato inteso ora come concettuale ora come visuale

Ossimorico sarebbe ad esempio il Ritratto d’inquisitore di Mario Bardi, ritratto cui manca il volto; o ancora la mappa geografica defunzionalizzata dalle cancellature di Emilio Isgrò, nell’opera Santo Stefano Capo d’Orlando; o la claustrofobica casa disegnata in una scatola di cartone da Claudia Gambadoro, autrice di Box. Una figura retorica che si spinge fino alla rabbia cieca e senza sbocco di Adalberto Abbate, il cui For politicians only altro non è che una minacciosa mazza da baseball con su incisa la scritta For politicians only e al video di Loredana Longo che in Explosion n° 15. Wedding Feast riprende delle tavole imbandite per un banchetto nuziale che saltano in aria. 

Più delicata, ma per certi versi più inquietante, è la serie di foto di Maria Domenica Rapicavoli, dal titolo Il gioco delle bocce. Per l’appunto, apparentemente un semplice svago ritratto veristicamente in un placido paesino siciliano, ma le lunghe ombre dei giocatori che s’insinuano tra le bocce si tingono di una nota greve quando l’osservatore scopre che le foto sono state scattate a Corleone.

«Spesso abbiamo inteso ossimoro come assenza» spiega una delle ragazze. «L’incompiutezza è parte fondamentale dell’arte contemporanea, e forse certi dettagli si possono capire davvero solo stando all’interno di questo mondo». Infatti. Le ragazze hanno fatto veramente un ottimo lavoro: pulito, lineare, chiaro. Tutto in quella sala di via Gramignani 93 sa di linea, geometria, assenza. Togli, semplifica, asciuga, e l’arte contemporanea, anche dentro la galleria della fondazione Brodbeck, si è ridotta all’osso. Gli otto artisti coinvolti nelle loro opere hanno scavato fino a toccare il concetto, forse però a discapito della figuratività. Ma perdere è guadagnare in questo campo. Perché ormai l’abbiamo imparato: «less is more».


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