Il primo cittadino dovrà rispondere dei reati insieme al suo predecessore Giuseppe Failla. Alla sbarra anche l'attuale dirigente ai Lavori pubblici Eugenio Ciancio e l'ex Giuseppe Di Mauro. Ad accusarli è l'imprenditore agricolo Nino Milici. L'uomo avrebbe subito danni ai suoi terreni per lo sversamento di liquami da una condotta
Paternò, rinviato a giudizio sindaco Mauro Mangano «Omissione atti ufficio e inquinamento ambientale»
A processo il sindaco di Paternò Mauro Mangano. La decisione è stata presa dalla giudice per le indagini preliminari Rosa Alba Recupido, che ha disposto il rinvio a giudizio anche per l’ex primo cittadino Giuseppe Failla, per l’attuale dirigente ai Lavori pubblici Eugenio Ciancio e per il suo predecessore Giuseppe Di Mauro. Sono accusati, in concorso tra loro, di omissione di atti d’ufficio e inquinamento ambiente. La vicenda inizia dalla denuncia presentata nell’ottobre 2010 da Nino Milici. L’imprenditore accusava amministratori e dirigenti comunali di essere responsabili del cattivo funzionamento della condotta fognaria della contrada San Marco. In quell’area c’è il suo fondo agricolo e a causa delle pessime condizioni della condotta si registrano consistenti sversamenti di liquami dentro la campagna.
Siamo sereni, ne usciremo assolti
L’apertura del processo è stata fissata per il prossimo 7 novembre 2017, dinanzi ai giudici della terza sezione penale del tribunale di Catania. Il collegio difensivo dei quattro imputati è composto dagli avvocati Salvatore Milicia, Rosanna Natoli, Anna Scuderie e Vittorio Lo Presti. «Siamo molto sereni e convinti che in sede dibattimentale usciremo assolti», spiega Milicia, legale del sindaco Mangano. Durante la vicenda giudiziaria non sono mancati i colpi di scena.
Il magistrato che ha seguito il caso dall’inizio, Andrea Bonomo, propendeva per l’archiviazione. Il Comune di Paternò aveva infatti inserito nel piano triennale delle opere pubbliche un progetto per la realizzazione del collettore fognario, richiedendo alla Regione un finanziamento poi perduto. L’ente comunale non ha potuto intervenire con soldi propri per mettere in sicurezza la zona, per mancanza di risorse. Sul fronte opposto la giudice per le indagini preliminari Flavia Panzano che ha optato per il rinvio a giudizio coatto per i quattro in quanto i «liquami che entrano nella proprietà dell’imprenditore contengono un elevato contenuto batteriologico e di conseguenza rende ipotizzabile la consapevole violazione della normativa dettata in materia di inquinamento ambientale». La giudice per l’udienza preliminare Giuliana Sammartino, nell’ottobre del 2015, però accolse la tesi di Bonomo, perché «gli elementi acquisiti non risultano idonei a sostenere un accusa in giudizio».
Alla decisione della giudice si è opposto l’imprenditore paternese che attraverso il sua legale Giosuè Furnari, ha fatto ricorso alla Cassazione. Con i giudici della suprema corte che gli hanno dato ragione. «Si esplicita il grave pericolo per l’incolumità fisica di chiunque dovesse trovarsi all’interno o in prossimità del fondo Milici – si legge nelle motivazioni – questa situazione di fatto imponeva ed impone un intervento immediato da parte dei sindaci che si sono succeduti nell’amministrazione e dei funzionari preposti al ramo competente». Il fascicolo è così ritornato agli uffici dei giudici per le indagini preliminari. Il caso è stato esaminato da Recupido, che ha scelto il rinvio a giudizio dei quattro imputati.