L'annuncio di Giacomo Pignataro di non correre nuovamente alla poltrona di Magnifico dell'Unict ha aperto la strada a Enrico Foti, Filippo Drago e Basile. A quest'ultimo MeridioNews ha rivolto una serie di domande sul passato e sul futuro dell'ateneo. «Garantirò l'equilibrio», dichiara
Elezioni Unict, Francesco Basile candidato bipartisan «Il mio spirito di servizio per la serenità dell’ateneo»
La corsa alla carica di rettore dell’università di Catania è partita ufficialmente il 28 dicembre scorso, giorno in cui si è chiuso il termine per la presentazione delle candidature dopo l’annuncio della mancata ripresentazione dell’ex Magnifico Giacomo Pignataro. A interrompere il suo mandato è stata l’ultima sentenza della giustizia amministrativa in merito allo statuto d’ateneo considerato illegittimo. Le elezioni – che si svolgeranno il prossimo febbraio – vedono contrapporsi il direttore del dipartimento di Ingegneria civile Enrico Foti, quello del collega di Scienze biomediche Filippo Drago e il preside della Scuola di Medicina Francesco Basile. A quest’ultimo – ritenuto da molti il favorito – MeridioNews ha rivolto alcune domande sul passato dell’ateneo etneo e sul futuro.
Professore Basile, uno dei primi successi vantati dall’amministrazione Pignataro è il taglio al numero chiuso in diversi corsi di studio. Un meccanismo «di razionalizzazione» che avrebbe fatto crescere le immatricolazioni. Qual è la strada che seguirà durante il suo mandato? E, in generale, cosa ne pensa degli sbarramenti?
«I numeri programmati servono a garantire maggiori livelli di occupazione ai laureati. In questo caso è importante usare la ratio per non correre il rischio di intaccare il diritto allo studio. Alla facoltà di Medicina, ad esempio, gli sbarramenti all’accesso hanno permesso al 90 per cento dei laureati di trovare un lavoro entro i primi cinque anni dalla laurea. Per cui, secondo me, il cosiddetto numero chiuso serve. Ma non deve essere troppo ristretto e, nei dipartimenti in cui è presente, amplierei magari i posti a disposizione».
Un discorso che pone al centro il dibattito del rapporto tra università e mondo del lavoro. Un meccanismo che spesso si inceppa e di cui a fare le spese sono per lo più gli studenti dei dipartimenti umanisti. Cosa farebbe in qualità di rettore per invertire questa tendenza?
«È uno dei punti fondamentali del mio programma, quello di potenziare i rapporti tra le aziende e l’ateneo. Così come avviene nelle università del Nord Italia o in quelle private, dobbiamo trovare il modo per fare sì che siano le ditte private e pubbliche a cercare gli studenti, magari attraverso stage e tirocini».
Un nodo che implica un dialogo frequente con i direttori dei dipartimenti, così da trovare insieme a loro i contatti giusti per ciascun settore di studio. Figure alle quali l’amministrazione Pignataro ha dato ampi poteri nella scelta dei progetti di ricerca su cui investire, seguendo l’idea di una minore centralizzazione del potere del Magnifico. Secondo lei questa linea può rendere più produttiva la ricerca universitaria?
«L’idea di fare scegliere ai direttori dei dipartimenti quale ricerca incentivare è corretta e non potrebbe farlo il governo centrale dell’ateneo. Continuerò su questa linea perché incentiva la competizione. E, aggiungo, che dividerei i fondi interni tra i dipartimenti meno appetibili alle aziende. Mentre amplierei i contatti con le aziende per quelli più attraenti al mercato, come ad esempio Ingegneria e Agraria».
Che priorità dà ai seguenti punti: stabilizzazione del personale tecnico-amministrativo precario, assunzione dei ricercatori e assunzione di nuovi associato o ordinari?
«La stessa: la precedente gestione ha già varato un piano triennale che continuerò anche perché quel percorso è cominciato e deve essere concluso».
Quale pensa debba essere il rapporto con la città e con la politica?
«Con il territorio il rapporto deve essere fitto. Il compito dell’università è la formazione e l’inserimento degli studenti nel mondo del lavoro, elemento per cui proprio alla città dobbiamo fare riferimento, chiedendoci cosa serva. Per quanto riguarda la politica, invece, ritengo che non ce ne debba essere se non da un punto di vista amministrativo. Si tratta in questo caso di due piani diversi».
Queste elezioni alla carica di rettore sono l’esito di una battaglia giudiziaria sullo statuto d’ateneo voluto dall’ex Tony Recca e dichiarato illegittimo dal Cga. Lei cosa pensa di quella carta?
«Potrei ripercorrerne la vicenda giudiziaria durata due anni e che alla fine lo ha considerato illegittimo, e così è. Quello nuovo, del 2015, non mi sembra invece abbia particolari problemi».
Un altro punto di scontro è stato il ruolo di direttore generale. Rivendicato da Lucio Maggio e attualmente occupato da Federico Portoghese, che su impulso del cda sta procedendo a una revisione degli atti della precedente gestione. Qual è la sua posizione a riguardo? Chi occuperebbe quella carica sotto la sua gestione?
«Gli atti non li conosco per cui non mi posso esprimere. Certamente il nuovo rettore dovrà analizzare la situazione e riportare la serenità. Su chi poi sarà il direttore generale nella mia eventuale gestione onestamente non lo so. Questo punto è da valutare dall’interno, dopo avere dialogato con il personale e con il senato accademico».
La sua lettera a studenti e docenti è apparsa come un modo per scrollarsi di dosso un endorsement scomodo, quello dell’ex rettore Tony Recca. Lo era? Si aspettava che l’ex Magnifico la promuovesse in maniera così esplicita? Pensa che il messaggio di Recca abbia nociuto alla sua candidatura?
«Onestamente non penso che l’università funzioni a gruppi o sponsorizzazioni. Non credo agli appoggi e il discorso in questa elezione è per i singoli. Non ritengo che per diventare rettore si debba passare attraverso accordi. Io mi presento con il mio curriculum, che è pubblico. Tutti sanno chi sono e quello che ho fatto nel corso della mia carriera».
Lei è il preside della facoltà di Medicina e proprio alla sua area attiene una delle sfide più importanti per la città di Catania: la gestione dell’ospedale San Marco e il ruolo del Policlinico. Da addetto ai lavori, trova che sia un’occasione? È possibile pensare a un’apertura del nosocomio con l’attuale dotazione organica? Quali sarebbero i benefici per gli studenti del settore?
«Il San Marco ha avuto un iter travagliato e lo conosciamo tutti. Certamente è un’occasione importante per il territorio e anche per gli studenti di Medicina. Al Vittorio Emanuele, ad esempio, c’è un certo sovraffollamento e risulta spesso difficile seguire tutti i tirocinanti. Mentre l’apertura di un nuovo punto aiuterebbe a rendere il tirocinio più di qualità».
Ritiene che la candidatura di Filippo Drago possa mettere in difficoltà la sua, creando una frattura di voti all’interno del suo dipartimento?
«Le candidature sono tutte valide. Personalmente sono stato sollecitato a candidarmi da tanti colleghi, non solo del mio dipartimento».
Come vive i giorni che la separano dalle elezioni?
«Con grande serenità. La mia scelta nasce da uno spirito di servizio. L’ateneo ha bisogno di equilibrio e tranquillità e io posso garantirli entrambi. Ovviamente per me rappresenta pure una grande ambizione».