Adeguamento sismico, lo studio di Unict e Ance «Catania potrebbe avere fino a 160mila vittime»

L’80 per cento degli edifici del capoluogo etneo è stato costruito prima del 1981. Quindi prima che la Sicilia orientale fosse catalogata tra le zone a elevato rischio sismico e anche prima che fossero previsti dalla legge particolari criteri di costruzione. Gli studiosi da anni puntano i riflettori sui pericoli per la cittadinanza in caso di un sisma di seria intensità. Dai risultati dello studio «Catania e il terremoto: prevenire o ricostruire?», finanziato dall’Ance etnea, è emersa la necessità e l’urgenza dell’adeguamento di gran parte dei fabbricati in cemento armato edificati in città. Il capoluogo etneo è stato assunto come case study per le analisi condotte dai ricercatori dell’università etnea e dell’Imperial college di Londra e per la prima volta sarebbe stata fatta una proposta concreta di adeguamento sismico delle strutture non a norma. Gli edifici meno vulnerabili sono – secondo gli studiosi – quelli in muratura di fine Ottocento, i più a rischio sono quelli del boom economico degli anni ’60 e ’80 costruiti in calcestruzzo armato, quindi gli edifici di maggiore pregio, quelli del centro storico, di corso Italia e via Vittorio Veneto e quelli del quartiere di Librino.

«Abbiamo creato per la prima volta dei prototipi digitali di strutture multipiano ad altezza elevata (fino a nove o dieci piani) – spiega Ivo Caliò, docente di Scienze delle costruzioni all’università di Catania e tra i curatori del progetto – e, attraverso modelli di simulazione molto avanzati e ad alta fedeltà, abbiamo simulato la risposta dell’edificio sottoposto al sisma, dimostrando che lo stabile messo a norma è in grado di dare una risposta paragonabile a quella degli edifici di nuova costruzione». L’amministrazione a livello locale, così come le istituzioni a livello centrale, non hanno dato risposte significative alle istanze degli studiosi del territorio. «Se si dovesse verificare un terremoto di magnitudo 7.4, intensità registrata già in passato in Sicilia orientale, non solo crollerebbe gran parte degli edifici – commenta Giuseppe Piana, presidente Ance Catania – ma ci sarebbe una grave perdita di vite umane, si potrebbero contare fino a 160mila vittime». 

La proposta formulata dal team è di adeguamento, ove possibile, degli edifici non a norma mediante un’opera di consolidamento. «Su gran parte degli immobili è possibile intervenire, questo dipende dalla loro struttura, – spiega Caliò – per altri, ove la struttura non lo consenta o il consolidamento possa ritenersi antieconomico, saranno necessarie la demolizione e la ricostruzione». Gli studiosi catanesi si dicono consapevoli che l’attenzione riservata oggi al tema non è dovuta ai risultati delle elaborazioni presentate, bensì ai tragici eventi sismici che hanno colpito l’Italia centrale pochi mesi fa. «Considerato che negli ultimi 50 anni lo Stato è intervenuto con oltre tre miliardi all’anno per ricostruire le zone terremotate – sottolinea Piana -, auspichiamo che le istituzioni diano adesso il via all’adeguamento del nostro patrimonio immobiliare, che potrebbe consentire un risparmio economico e soprattutto la tutela dell’incolumità dei cittadini».


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