Gruppo vicino all’Isis hackera due siti web di Unict La rivendicazione della «cyber resistenza» tunisina

«Stop killing people in Siria». Basta bombardamenti in Siria. È la scritta rossa su sfondo nero che è apparsa, per qualche ora, al posto del sito della Città della scienza e del Capitt dell’università di Catania. Ad hackerare la pagina web gestita dall’ateneo etneo sarebbe stato il gruppo tunisino Fallaga team che si definisce di «cyber resistenza» e che, si legge in arabo, si ispira ai Fellagha, letteralmente «banditi», militanti anticolonialisti nordafricani del secolo scorso. Il Fallaga team rivendica una matrice fortemente nazionalista e antisionista. Ma, aggiunge, «we are not Isis». «Noi non siamo l’Isis».

«L’Onu ha dichiarato che le truppe del governo siriano e le milizie irachene alleate – si legge nel messaggio apparso sul sito della Città della scienza e su quello del Capitt – hanno deliberatamente ucciso uomini, donne e bambini ad Aleppo e ha affermato che la stessa cosa potrebbe avvenire altrove». Un messaggio già usato per altri attacchi virtuali e al quale sono state associate le immagini delle vittime dei combattimenti in territorio siriano.

Si tratta di un gruppo islamista, che più volte è stato associato all’Islamic state e alla jihad. Secondo la stampa internazionale, a crearlo sarebbe stato Majdi, definito «l’hacker del Califfato». Quello nei confronti dei due siti dell’ateneo non sarebbe di un attacco mirato: da almeno due anni – cioè da quando per la prima volta la firma del Fallaga è apparsa online – gli hacker agiscono a strascico su migliaia di siti web contemporaneamente. In passato era toccato a pagine tunisine, israeliane, francesi e anche italiane.

«Continueremo a lavorare per una Tunisia libera», si legge nel loro manifesto, pubblicato su una pagina Facebook con oltre undicimila seguaci. «Non siamo dei dilettanti, siamo i detentori del principio di grandi sogni per il futuro della Tunisia: sogniamo una Palestina di nuovo libera dal potere economico, una Tunisia forte, giusta, una Tunisia della rivoluzione». E un riferimento va poi ai «territori sacri oppressi». Per poi concludere: «Un’ultima cosa: siamo stati e siamo ancora i re della Rete». Un primato autodeterminato che spesso il più noto gruppo Anonymous ha fatto vacillare, attaccandoli virtualmente in più di una occasione.


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