San Berillo, presentata la web serie sul quartiere «Mura impresse di memoria in una ferita aperta»

Mary, Franchina, l’ingegnere Giuseppe Mignemi, l’ebanista Salvatore Grasso, il falegname Nino Puglisi. Ci sono tanti san berilloti alla presentazione di San Berillo web serie doc, sulla storia e la realtà attuale del quartiere. Qualcuno conquista la prima fila e persino il microfono per portare al pubblico la propria testimonianza, altri invece preferisce le ultime file, forse per non dare troppo nell’occhio.

Ci sono anche loro tra i protagonisti delle dieci puntate realizzate dai ventuno ragazzi del laboratorio di documentazione audiovisiva condotto dalla regista Maria Arena all’interno del progetto Trame di Quartiere, che debuttano con le prime due puntate in una sala gremita dell’archivio di Stato di Catania. Occasione anche per inaugurare la mostra Il sogno dei San Berilloti – titolo ripreso da un articolo che racconta il trasferimento forzato in case moderne – che attraverso documenti, articoli di giornale, delibere del Comune, piani finanziari e cartine geografiche raccolte dal deputato Franco Pezzino e selezionati dall’associazione Trame di Quartiere, ripercorre gli anni dello sventramento della zona, le prime inchieste giudiziarie e la deportazione degli abitanti nella nuova e isolata San Berillo.

Un percorso nato spontaneamente da alcuni partecipanti del laboratorio e reso possibile grazie alla collaborazione con l’archivio di Stato, con cui è stata avviata una sinergia che in futuro darà altri frutti. A tagliare il nastro ci sono la direttrice dell’archivio Anna Maria Iozzia, che sottolinea come uno dei compiti dei suoi uffici sia divulgare materiale solitamente consultato da studiosi o laureandi e Luca Lo Re per Trame di Quartiere, che invita gli spettatori a prendere parte a un processo di co-creazione del nuovo spazio. Affinché possa essere «ripensato e riprogettato con l’aiuto di tutti».

«In cento minuti raccontiamo il quartiere e ci poniamo delle domande non solo su come dovrebbe essere, ma soprattutto su chi ci abita  – spiega la regista Arena – e attraverso Internet vogliamo coinvolgere i giovani per divulgare la conoscenza di un posto in cui molti non erano mai stati». Se il primo anno è stato utile per raccogliere ogni esperienza vissuta dai partecipanti, il secondo lo sarà per approfondire alcune tematiche, tra cui i desideri e le aspettative degli abitanti – anche ai fini della cosiddetta urbanistica partecipata – e la storia di tutti i piani regolatori che hanno riguardato il quartiere dagli anni Cinquanta a oggi. Che in molti ricordano, come raccontano alcuni visitatori della mostra. «Una volta c’erano tante attività commerciali che davano una spinta al quartiere, gli opifici, la fabbrica del ghiaccio, il pastificio e ci vivevano anche avvocati, insegnanti, magistrati». Era il tempo in cui «il primo amore costava 114 lire» come racconta il signor Grasso, che da bambino lavorava in piazza delle Belle e portava legna per scaldare – a sua insaputa – le case di tolleranza.

Storie che hanno appassionato i giovani aspiranti registi, che aspettavano l’anteprima per presentare alla città il frutto di un anno di lavoro. «Vogliamo promuovere il dialogo, perché è assurdo che un luogo che si trova nel cuore di Catania sia dimenticato» – commenta Rosario Lupo. «Molti non ne oltrepassano la soglia – osserva Luca Aiello, studente di Economia – ma a San Berillo non solo si può entrare, ma è sempre bello fermarsi a chiacchierare con le persone che si incontrano e da cui si può apprendere molto». «Il materiale girato ha fatto scaturire l’animo del quartiere» – aggiunge il montatore Giuseppe Consales, anche grazie al contributo della rapper Eva Rea – autrice della colonna sonora – della docente di Urbanistica Piera Busacca, dell’attore Turi Zinna, della docente di Antropologia Mara Benadusi, dello scrittore Domenico Trischittae e di Roberto Ferlito del comitato San Berillo.

«È come se nelle mura, negli odori e nei colori di oggi fosse impressa la memoria di ieri», sottolinea Mariastella, laureata in Cinema. «Per conoscere il quartiere – conclude – bisogna conoscere ciò che è accaduto, perché è una ferita ancora aperta, frutto di un processo complesso, doloroso e ancora in corso».


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