Processo Iblis, motivi delle condanne d’Appello «Da Fagone disponibilità politica a Cosa nostra»

Una sequenza di 144 pagine nelle quali i giudici ripercorrono tutte le vicende legata all’inchiesta antimafia Iblis e all’intreccio tra mafia, politica e imprenditoria. Sono quelle depositate per il processo d’Appello con il rito ordinario, che vedeva tra i numerosi imputati Enzo Santapaola, Rosario Di Dio l’ex deputato regionale centrista Fausto Fagone. Altro troncone è quello già arrivato in Cassazione con il giudizio abbreviato. Restano ancora aperti invece a colpi di scena le vicissitudini giudiziarie dei fratelli autonomisti Angelo e Raffaele Lombardo. Per quest’ultimo la sentenza di secondo grado potrebbe arrivare oggi. 

Presunti boss e gregari: «Gli elementi di prova sono costituiti fondamentalmente dalle dichiarazioni del collaboratore Santo La Causa». Anche per i giudici d’Appello è l’ex reggente dei Santapaola-Ercolano a influire pesantemente sulla condanna a 18 anni di Enzo Santapaola, conosciuto con il diminutivo di ‘u fantasmafiglio maggiore dello storico capomafia Nitto. Per gli inquirenti sarebbe stato lui, nonostante la sua voce non sia stata mai captata dalle cimici del Ros, a prendere in mano le redini della famiglia al posto del padre. Durante il processo i difensori del presunto boss hanno cercato di sminuire la credibilità di La Causa ma l’operazione non ha convinto i togati: «Non c’è alcuna valida ragione per ritenere che la partecipazione a Cosa nostra di Enzo Santapaola sia cessata dopo il 2005 (anno della precedente condanna per mafia)». 

Tra i personaggi di spicco del panorama mafioso c’è pure Rosario Di Dio. Uomo ritenuto un boss tutto d’un pezzo dagli inquirenti, almeno fino a quando ha deciso di parlare con i magistrati. Il suo però non è stato un vero e proprio pentimento. Nei verbali sono finite accuse destinate esclusivamente ai fratelli Angelo e Raffaele Lombardo. In Appello la condanna scende da 20 a 14 anni grazie alla concessione delle attenuanti generiche. A chiedere uno sconto erano stati gli stessi magistrati grazie «alla sua fattiva collaborazione».

Politici: Il nome più rilevante di questo troncone processuale è quello di Fausto Fagone. Ex sindaco di Palagonia con un trascorso da deputato regionale e Palermo. Dietro al politico, condannato a 12 anni per associazione mafiosa, i giudici tratteggiano quello che definiscono, senza troppi giri di parole, «un accordo stabile con la cellula mafiosa di Palagonia». Voti e sostegno elettorale, secondo i giudici, in cambio di «incondizionata disponibilità politica e amministrativa da parte dell’imputato». A finire sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori sono in particolare le elezioni regionali del 2008, quando Fagone scende in campo con l’Unione democratica di centro. In questa tornata si sarebbe sviluppato il presunto accordo tra il politico e i Santapaola-Ercolano. Tutto all’insegna di «uno stabile rapporto», scrivono i togati. In una intercettazione del maggio 2007, vengono captate le voci del capo provinciale Vincenzo Aiello e di alcuni boss locali come Pasquale Oliva, Alfonso Fiammetta e Franco Costanzo. I quattro, scrivono i giudici, si chiedono «se Fagone stava rispettando gli accordi elettorali, considerato che avrebbe fatto giungere milioni di euro». Il nome dell’ex sindaco di Palagonia viene collegato anche alla figura del presunto boss Rosario Di Dio. Tra le pagine della sentenza si ripercorrono alcuni fatti emersi nell’inchiesta, come gli incontri al distributore Agip sulla Catania-Gela, la presenza di Di Dio al convengo nazionale Udc di Chianciano Terme e il viaggio a Roma, nel 2008, con la presenza di entrambi per un presunto affare da portare a termine nella sede di una società svizzera.

Nella lista degli uomini delle istituzioni condannati c’è anche Giuseppe Tomasello, ex assessore comunale di Ramacca e genero di Pasquale Oliva. Assolto in Appello per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato condannato a nove anni per estorsione aggravata nell’affare della cooperativa Enotria. «Non vi è prova – scrivono i giudici – che l’imputato abbia modulato in modo continuativo l’azione della pubblica amministrazione per recare vantaggio all’associazione mafiosa».

Imprenditori: L’unico assolto del processo ordinario di secondo grado è stato Santo MassiminoDopo la condanna in primo grado a 12 anni i giudici hanno ritenuto l’imprenditore acese innocente con la formula «di non avere commesso il fatto». «Massone solo per pochi minuti», come ha raccontato lui stesso ai magistrati, era ritenuto dai magistrati vicino al capo provinciale di Cosa nostra catanese Vincenzo Aiello. Tuttavia, secondo i giudici d’Appello, «non è stata raggiunta la prova certa del concorso in associazione mafiosa». «Dagli elementi in atti – proseguono i giudici nelle motivazioni – non emerge con certezza un contributo stabile a Cosa nostra» mentre i contatti  con Aiello possono «essere interpretati come conseguenza dell’attività estorsiva che aveva subito».


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