Finto terrorista Isis, le motivazioni dell’assoluzione «Niente prove, solo suggestioni e scarsi riscontri»

Un video presentato come una prova inquietante ma che, in realtà, è «una parodia». L’esclusivo passaporto dell’Isis definito «solo un’immagine scaricata da internet». In generale, atti «per lo più sconfessati da non ardui riscontri, quasi sempre insufficienti e a volte del tutto contraddittori». È questa la sintesi delle motivazioni, lunghe 44 pagine, con le quali il giudice monocratico Giancarlo Cascino ha assolto alla fine di febbraio Morad Al Ghazawi, il giovane siriano sbarcato a Pozzallo nel dicembre 2015 e accusato di essere un miliziano dell’Isis. A sostenere questa ipotesi erano stati gli agenti della Digos di Ragusa, guidata dalla dirigente Vincy Siracusano, e i magistrati della procura di Catania che per lui avevano chiesto una condanna a quattro anni di carcere. Adesso, a distanza di poco più di due mesi dalla sentenza d’assoluzione, le motivazioni segnano un nuovo spartiacque in questa vicenda. Con il giudice etneo che critica, senza troppi giri di parole, il lavoro di chi ha raccolto le prove e dei magistrati che, sulla base di queste, hanno sostenuto l’accusa in aula.

Cascino, anzitutto, chiarisce i contorni della questione. Per essere accusati di terrorismo, infatti, non basta essere d’accordo con l’ideologia jihadista, ma serve un concreto contributo all’attività terroristica. E, nel caso di Al Ghazawi, a non emergere sarebbero entrambi gli aspetti. Unica concessione del giudice: la manifesta fierezza del ragazzo rispetto alla propria religione. Particolare che emergerebbe soprattutto dalle intercettazioni disposte dalla Digos durante la carcerazione del giovane a Rossano Calabro, struttura in cui c’è una sezione apposita per i presunti terroristi. «Sono stato arrestato per la mia religione, per la mia fede», diceva il ragazzo, differenziando la sua posizione da quella dei compagni detenuti per droga o altri reati. Secondo gli inquirenti, l’appartenenza all’Isis si sostanziava su una serie di prove: contatti con connazionali, foto e video con scene di guerra e persone uccise o mutilate, tutti contenuti nei nove cellulari trovati addosso al ragazzo al momento dello sbarco. E appartenenti, secondo la sua versione, anche ai familiari che viaggiavano con lui

A spiegare l’origine dei file ritenuti compromettenti era stato lo stesso Al Ghazawi, che «riferiva di averli tenuti in memoria per mostrare a tutti la cattiveria di Assad», il dittatore siriano a causa del quale la sua famiglia è stata costretta a scappare da Daraa nel 2011, prima dell’arrivo dell’Isis. Versione provata dalla presenza di foto che ritraggono vecchi amici di famiglia uccisi. «Per quanto inquietante, non si reputa così inverosimile (anzi, appare abbastanza comprensibile) che chiunque provenga da quei territori, oggi sempre più notoriamente scenario di brutalità umana, decida di portare con sé le relative immagini per i più disparati motivi, dalla denuncia, alla semplice memoria», scrive il giudice. 

Senza bisogno di interpretazione, invece, è apparsa a Cascino una delle prove cardine del processo: un presunto lasciapassare dell’Isis. Con una foto diversa da quella di Al Ghazawi e un altro nome. Per il pm poteva trattarsi dello «specifico nome in codice» da terrorista dell’imputato. Ma, come scoperto da MeridioNews, si trattava in realtà di uno scherzo a un cantante siriano trasferitosi in Svezia, che circola online da anni. Nonostante la procura abbia chiesto un parere apposito alla Digos, sulla base del nostro articolo, e gli agenti abbiano ammesso solo parzialmente l’abbaglio, per il giudice «risulta abbastanza verosimile la possibilità che si trattasse di un’immagine, come tante altre, scaricata da internet e non eliminata dalla memoria».

Parte delle 44 pagine, inoltre, sono dedicate a due discusse conoscenze di Morad Al Ghazawi: Mofid Abu Nader e Abu Ghassan, per la procura entrambi terroristi. Nel primo caso, come spiegato dallo stesso imputato e confermato dall’inchiesta di MeridioNews, si tratta di un vicino di casa e amico di famiglia, comandante della brigata anti-Assad Martiri di Daraa. Scappato dalla Siria anni dopo e per questo, secondo il giudice, i contatti tra lui e la famiglia di Al Ghazawi sarebbero solo degli «scambi di messaggi e immagini con un vecchio amico che ha scelto di rimanere in quei posti, nonostante tutto, e che rappresentano per chi è stato costretto ad andarsene forse l’unico residuo contatto con la propria terra». 

Più curiosa la tesi di Digos e procura sul rapporto con Abu Ghassan, costruita intorno a un’amicizia su Facebook tra i due, rimasta senza prova, e soprattutto su una foto che li raffigurerebbe insieme. E che, in realtà, sarebbe «un’evidente suggestione degli operanti – scrive Cascino – Infatti, già il mero raffronto tra una qualsiasi foto dell’imputato e l’immagine consentirebbe di escludere, senza difficoltà, somiglianze». In conclusione, per il giudice, dopo un anno e mezzo di carcere Morad Al Ghazawi si è rivelato «un soggetto sicuramente osservante degli insegnamenti coranici e che risultava fiero della propria devozione e di essere detenuto a causa della professione della propria fede in nome di Allah; ma niente più di questo».


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