Mafia ad Adrano, gli Scalisi e la mappa del pizzo Dalle uova alle tute, ecco chi ha pagato la cosca

Si paga e basta. Ad Adrano, nel regno del clan Scalisi, i commercianti hanno abbassato la testa per anni, versando ogni mese i soldi nelle casse della famiglia, al cui vertice ci sarebbe stato il presunto boss detenuto Giuseppe Scarvaglieri. Un pizzo a tappeto, organizzato quasi in maniera militare con pagamenti che prevedevano supplementi durante Pasqua e Natale. Per ricostruire tutte le dinamiche è stato determinante Caliddu, all’anagrafe Gaetano Di Marco. Un passato da reggente degli Scalisi, un presente da pentito. I retroscena di decine di estorsioni emergono dalle carte dell’inchiesta Illegal duty, con intercettazioni telefoniche e ambientali che fanno emergere la figura di Pietro Maccarrone, alias Fantozzi. «Qua siamo ad Adrano e ci siamo noialtri». È la vigilia del Natale 2014 quando proprio Maccarrone confabula su come ottenere il pizzo da un rivenditore di bevande che si lamenta di sentirsi umiliato dalle richieste: «Vossia lo sa cosa deve fare», gli dicono prima di congedarlo. L’estorsione tuttavia non risulta essere stata pagata e quindi viene contestato solo il tentativo, che la vittima non ha mai denunciato.

Qua siamo ad Adrano e ci siamo noialtri

Il clan si sarebbe interessato soprattutto alle uova. Cercando di suddividere il mercato tra due aziende: Frescovo, di Paternò, e la ditta di Maurizio Amendolia, con una percentuale per ogni cartone venduto. Almeno fino a quando gli Scalisi non decidono di affidare tutta il settore al secondo e di vietare al primo di andare ad Adrano e Biancavilla per affari. Per riuscire a estromettere l’imprenditore di Frescovo che ha subito analoghi trattamenti anche nel territorio di Troina, pare sempre a vantaggio di Amendolia – i presunti affiliati al clan avrebbero rastrellato il territorio, imponendo ai commercianti da chi comprare: «Ci dobbiamo applicare e fargliele prendere tutte da lui. Anche i supermercati, abbiamo preso tutti», dicevano. In un’intercettazione è proprio un commerciante a chiedere: «Devo sapere come mi devo comportare, da chi le devo prendere», «allora … da Maurizio si devono prendere le uova […] che ci sono anche i ragazzi catanesi nel mezzo», gli rispondono.

Tra i taglieggiati sarebbero finite anche la ditta
Agriservice che «paga mille euro ogni sei mesi», la pasticceria Dolce Aria, l’esercizio commerciale Surgelati e Gelati e il negozio sportivo Legea di viale Catania. Da quest’ultimo non sarebbero stati prelevati soldi ma tute sportive, come racconta il pentito Di Marco: «Marcello Stissi si fece dare 25 tute e le spartì tra i membri del clan Scalisi. Prima del mio arresto so che Maccarrone andava spesso al negozio e si fece dare altre tute». Per convincere il proprietario, il gruppo decide di fargli trovare una bottiglietta piena di benzina vicino alla saracinesca, ma la posizione scelta non soddisfa alcuni componenti del clan. «Gliel’ha messa nel muro, vicino la canaletta. Cioè, ma come la deve vedere là?», è il dialogo che viene intercettato dentro una macchina. Tra i protagonisti c’è sempre Maccarrone. Alla fine però la questione sarebbe stata risolta grazie all’intervento di Nicola Amoroso

Si fece dare 25 tute per dividerle ai membri del clan

In mezzo alla pax mafiosa di Adrano non sarebbero mancati i momenti di tensione. Durante un giro in automobile, la coppia Maccarrone-Amoroso nota una bottiglietta sospetta davanti al negozio di casalinghi
Rose
. «L’hanno messa dove ci siamo noialtri?», si chiedono i due, ipotizzando la minaccia di un clan rivale. Una volta scesi dall’auto, però, ecco la soluzione al mistero: si tratta del contenitore per l’acqua di scarico di un condizionatore. Il negozio, secondo il pentito Di Marco, avrebbe pagato «150 euro al mese e lo faceva anche prima del 2010. Oltre al denaro prendevano merce senza pagare e poi io ho ridotto la somma a 100 euro senza prendere altro». Per ricostruire la mappa del pizzo le cimici intercettano anche le chiacchierate sul Bar Garden. «Pagava 200 euro al mese. Quando diventai reggente smise di pagare», racconta sempre il pentito. Maccarrone e soci a Natale 2014 avrebbero preteso nuovamente soldi ma la risposta non li convince: «Mi ha detto qualche cesto…qualche cosa», riferisce – non sapendo di essere intercettato – il pregiudicato Antonio Furnari

Anche il
vivaio Garden-La Pineta finisce nelle pagine dell’ordinanza dell’operazione, così come l’attività Moda e Scarpe e il punto di ristorazione Paninolandia. Nel primo caso la messa a posto non sarebbe stata tanto semplice anche in virtù di una parentela con un presunto affiliato al clan. «L’avevamo chiusa che per Natale ci dava il regalo e poi si birsava», raccontava Maccarrone. I legami familiari avrebbero influito anche per il pizzo al Boom del panino di piazza Napoli, con il proprietario cugino di Pietro Severino, detto ‘u Trummutu. «Mandai a chiedere l’estorsione – racconta il collaboratore Di Marco – ma intervenne il figlio di Severino dicendo che suo cugino non doveva pagare. Per quanto ne so non si è presentato più nessuno».


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