Mafia Adrano, il controllo del mercato della frutta «Mi davano i soldi dentro a una cella frigorifera»

«Sai come li ho sistemati? Gli ho detto di lasciare tutto ai posteggiati». Poche parole intercettate durante l’inchiesta antimafia Illegal duty della polizia, utilizzate per spiegare una modalità di riscossione del pizzo portata avanti dal clan degli Scalisi di Adrano. Gruppo che avrebbe gestito, in accordo con gli ex rivali della cosca Santangelo, il mercato ortofrutticolo cittadino. Sotto il loro controllo sarebbe finito ogni pezzo dell’economia ai piedi dell’Etna che ruota attorno alla frutta. Dai box, i cui titolari vengono chiamati posteggiati, fino ai camion, che avrebbero pagato sia una quota mensile per la sosta notturna sia una sorta di biglietto d’ingresso per oltrepassare con i mezzi il cancello di viale Regione Siciliana

Un ticket di pochi euro che avrebbe permesso di caricare e scaricare la merce senza nessun tipo di intoppo. Il denaro però doveva essere consegnato ad alcuni titolari dei box che a loro volta avrebbero avuto mandato di girare le somme agli esattori del clan. Così da racimolare soldi senza correre rischi. «Ma quanti?», chiede un presunto affiliato intercettato mentre parla con un componente del suo gruppo: «Cinquecento euro al mese», si sente rispondere. Ogni somma poi sarebbe stata comunque divisa con i Santangelo.

Ogni box ci dava 300 euro al mese

Sul controllo del mercato ortofrutticolo si sarebbero infatti basati anche gli equilibri mafiosi passati e presenti. Nella gestione si sono alternati il clan Pellegriti, poi caduto in disgrazia, e quello dei Santangelo. Fautori, dopo una cruenta faida, di un accordo di equa spartizione proprio con la cosca degli Scalisi. «Il mercato è sempre stato suo»,  spiega un uomo intercettato riferendosi allo storico capomafia Alfio Santangelo, conosciuto come Taccuni. Per capire come sarebbe stato gestito il business basta rimettersi alle parole del pentito Gaetano Di Marco, ex reggente passato dal lato della giustizia: «Ogni box ci dava 300 euro al mese – racconta ai magistrati della procura di Catania -. Metà dei soldi li prendevano i Santangelo e metà noialtri». Il pizzo sarebbe stato imposto anche agli autisti dei camion. Particolare che emerge grazie alle carte dell’inchiesta: «Chi posava i mezzi lì dentro, per lasciarli dentro durante la notte pagava 100 euro al mese», continua Di Marco. 

Gli accordi avrebbero previsto anche un ruolo specifico per il titolare di un box adibito a deposito della frutta. L’uomo sarebbe stato incaricato di portare al clan i proventi delle estorsioni: «Consegnava a me tutti i soldi dentro a una cella frigorifera. Io li davo a Pietro Severino che poi passava la quota spettante ai Santangelo», prosegue nel suo racconto il collaboratore di giustizia Di Marco. I soldi, successivamente, venivano investiti per comprare la droga dal clan dei Santangelo. Un business in cui gli Scalisi si sarebbero gettati soltanto nel 2014, dopo la scarcerazione di Pietro Maccarrone. Una scelta forse obbligata ma non condivisa da tutti, in primis dal presunto boss detenuto Giuseppe Scarvaglieri. «Diceva che portava soltanto problemi, ma lui (Maccarrone, ndr) si mise in contatto con i Santangelo che iniziarono a fornircela», racconta Di Marco.

La zona di spaccio principale ad Adrano sarebbe stata in piazza Sant’Agostino, nei pressi di un camion che vendeva panini. Mentre a occuparsi del mercato sarebbe stato lo stesso Maccarone «che aveva contatti in Calabria». L’uomo che nell’inchiesta Illegal duty ha collezionato svariati capi d’imputazione, avrebbe allargato i suoi affari anche nel vicino territorio di Santa Maria di Licodia. «Anche se non poteva – chiosa il collaboratore di giustizia – perché era di competenza di Massimo ‘u giganti per conto di Turi Rapisarda». Questi ultimi legati ai clan paternesi e storicamente affiliati ai Laudani di Catania.


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