«Il Consorzio doni l’area del Centro direzionale Cibali» La proposta-provocazione dell’esperto di urbanistica

«Voglio lanciare una provocazione a sindaco, amministrazione e parlamentari: si lavori a una norma da proporre al Governo, affinché il consorzio Centro direzionale Cibali, che è di Sicilcassa e quindi sotto il controllo della Banca d’Italia, possa cedere all’amministrazione comunale i propri terreni. Così il consorzio non avrà più beni immobili e potrà finalmente essere liquidato e quell’area tornerà nelle disponibilità del Comune di Catania. Era stata messa in vendita per 37 milioni di euro: per la Banca d’Italia sono ancora meno che bruscolini e per la città, invece, sarebbe un’occasione straordinaria». La proposta arriva dall’architetto Aurelio Cantone, urbanista catanese di lungo corso che già in passato ha collaborato con l’amministrazione comunale. Adesso, nel suo studio, sfoglia il masterplan allegato alla proposta di variante approvata il 10 luglio dalla giunta guidata dal sindaco Enzo Bianco. L’area in questione è quella dei 17,4 ettari di terreno tra le vie Sabato Martelli Castaldi, dei Piccioni e Nazario Sauro, nel cuore del quartiere di Cibali e a pochi passi dal trafficatissimo viale Mario Rapisardi. Una zona distrutta da un incendio «di presumibile origine dolosa», come affermano i liquidatori del Consorzio, e che, secondo il piano regolatore del 1969 – attualmente in vigore nel capoluogo etneo – doveva essere destinata ad accogliere un centro direzionale e un’asse dei servizi. Un progetto rimasto sulla carta e bloccato dal Consiglio comunale alla fine degli anni Ottanta, quando i nomi che ruotavano attorno a quel maxi-affare erano quelli dei Cavalieri del Lavoro Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Carmelo Costanzo.

«Io penso, in primo luogo, che ogni ragionamento su quell’area non possa prescindere da una revisione del piano regolatore generale Piccinato – comincia Aurelio Cantone – Le decisioni urbanistiche vanno prese avendo chiaro un quadro di riferimento più ampio. Per legge, i prg vanno revisionati ogni cinque anni, mentre il nostro è stato man mano modificato parzialmente, ma mai ripreso del tutto». Un fatto che fa sì che a regolamentare la crescita della città sia «un piano di mezzo secolo fa. E uso questo termine, “mezzo secolo”, per rendere chiara a tutti la pesantezza di questa entità di tempo. Come può mai essere considerato attuale?». Il piano regolatore generale cittadino, si è detto spesso, dovrebbe essere coordinato a quello dell’intera Città metropolitana. «È una decisione che, personalmente, non condivido. Anche perché – replica Cantone – significa che si devono bloccare tutte le altre amministrazioni comunali che in questo momento stanno revisionando i propri prg? Mi viene da pensare, per esempio, a Misterbianco e a Sant’Agata Li Battiati». I tempi per un nuovo piano regolatore generale, di per sé, non dovrebbero essere lunghi tecnicamente. «La progettazione impiega sensibilmente meno tempo della politica, ma è inevitabile che sia così». L’ultima amministrazione a tentare il percorso di revisione urbanistica complessiva della città di Catania era stata la giunta guidata da Raffaele Stancanelli, che aveva messo mano anche al centro direzionale Cibali. «I numeri sono numeri e sono incontrovertibili: indubbiamente il progetto che è stato presentato adesso è quello che prevede meno cubatura – spiega l’esperto – Ma il fatto che sia prevista meno edificazione non è, di per sé, un elemento di valore assoluto».

Nell’immaginare, nel 2017, la grande area verde al centro di Cibali si dovrebbero analizzare una grande quantità di fattori. «Quanta gente vive in quel quartiere? Quali sono i deficit urbanistici? Ci sono certamente dei bisogni, ma non dimentichiamo che quella è una zona a vocazione prevalentemente residenziale e la proporzione non può legare soltanto abitanti, servizi e negozi». Anche perché nel ragionamento manca «tutto il piccolo tessuto produttivo locale, il tempo libero, le attività ricreative di natura privata. È tutto questo che restituisce vita a un quartiere e va pensato, progettato, programmato». L’altra grande criticità del progetto, secondo Cantone, è la questione della viabilità: «Di fatto, quella grande area taglia il quartiere da est a ovest, interrompendo ogni comunicazione. La nuova viabilità deve necessariamente pensare alla ricucitura: il progetto proposto, per fare contenti tutti, prevede delle nuove strade che servano da accesso alla zona del centro direzionale Cibali. Però così è come se fosse pensata come un’isola, e non come un elemento di connessione. La variante proposta si concentra su quegli ettari, ma non legge il territorio che c’è al di fuori e fa un ragionamento che urbanisticamente non si può ritenere completo». In termini più semplici: delle sei proposte presentate al Consorzio, ce n’erano alcune di associazioni ambientaliste che proponevano di mantenere inalterate alcune porzioni di terreno. Quelle coi terrazzamenti, con le aree verdi dotate di alberi e quelle al di sotto delle quali dovrebbero esserci delle cave di zolfo. Tutti spazi che non vengono toccati dal progetto e rimangono sostanzialmente inalterati. «Il risultato è che l’edificazione proposta è inspiegabilmente sparsa sul suolo: è come se io aprissi una scatoletta di fiammiferi e li buttassi sul tavolo. Chi ha pensato a questo disegno non si è posto il problema della forma da dare alla città. E cos’è l’urbanistica se non questo?».

L’ultimo punto è legato, invece, alla procedura che la giunta ha seguito per arrivare alla proposta di variante. «L’ordinamento degli enti locali ha chiarito da parecchio tempo che le tematiche urbanistiche sono di competenza esclusiva del Consiglio comunale – spiega Aurelio Cantone – In questo caso, la giunta dà mandato agli uffici di predisporre la documentazione da inviare al senato cittadino. Il procedimento, invece, dovrebbe essere esattamente contrario: dovrebbe essere l’assise civica a dettare le regole». In più, in questo caso, la proposta di variante è solo parziale: «Quella zona avrebbe dovuto essere collegata tramite un asse viario attrezzato a Picanello, dove doveva sorgere un altro centro direzionale – continua l’architetto – Visto che si sta riprendendo in mano quella parte del prg, sarebbe stato forse utile ragionare anche sull’altro quartiere. Perché a Cibali, in fondo, non si toccano le vite dei cittadini, visto che quello spazio è vuoto. Mentre a Picanello si dovrebbe pensare a diecimila abitazioni sul territorio. E quello sarebbe chiaramente un fatto politico. Ancora una domanda: la politica non deve forse pensare alla collettività come interesse primario?». La domanda è spontanea: a Catania è interesse primario per i cittadini la costruzione di nuove abitazioni? «Posso dire che la tendenza degli ultimi piani regolatori in Italia è quella di essere a volume zero. La logica è più o meno questa: demolisci e ricostruisci, nella stessa zona o in un’altra. Così la città riprende un suo equilibrio. Faccio un esempio concreto: nell’area più bassa di San Cristoforo ci sono enormi opifici non più utilizzabili. Se non si possono riqualificare, si abbattono e ci si fa una piazza, mentre quella cubatura rimane a disposizione dell’imprenditore per costruire da un’altra parte, chiaramente secondo regole definite, per soddisfare le esigenze del mercato». 


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