Teatro Stabile, c’è anche chi dice no all’accordo L’avvocato: «Vanno accertate le responsabilità»

«Pur essendo un ente pubblico, io credo che gran parte dei debiti del Teatro Stabile siano dovuti a una cattiva gestione che, dunque, fa venire meno il requisito della meritevolezza». A parlare è l’avvocato Sergio Cosentino, legale di una delle realtà creditrici che ha votato contro l’accordo proposto da La tutela degli onesti. L’organismo di composizione della crisi da sovra-indebitamento, a cui è stato affidato il compito di provare a salvare il teatro etneo, ha ottenuto riscontro positivo da oltre l’85 per cento dei creditori. E, quindi, dei 13 milioni e 67mila euro da pagare, lo Stabile potrebbe saldarne solo sette milioni e 432mila

«Se si vuole fare un accordo con i creditori – spiega il l’avvocato Sergio Cosentino – si deve dimostrare di aver contestato la mala gestio degli amministratori, altrimenti è come trovarsi davanti a una sorta di concordato fallimentare che, però, si può usare soltanto per le attività d’impresa». Si appella all’«insussistenza del requisito di meritevolezza» il legale che chiede al tribunale, innanzitutto, di non omologare la proposta di accordo della crisi da sovra-indebitamento, nonostante l’approvazione del piano da parte della maggioranza dei creditori. «Lo stesso teatro – afferma Cosentino – ha rilevato che “il Commissario ha trovato situazioni figlie di gestioni precedenti verosimilmente poco oculate che, a loro volta, hanno cagionato un danno non indifferente all’Ente“». A conferma di questa situazione ci sarebbero anche gli atti depositati «ma – precisa l’avvocato – dalla documentazione non risulta che gli amministratori dell’Ente si siano mai attivati per accertare a chi debbano essere imputate tali responsabilità e agire nei confronti dei responsabili di un’evidente mala gestio». 

A parere del legale, inoltre, anche il lavoro di ricomposizione della crisi avrebbe meritato maggiore attenzione: «Credo che la Tutela degli onesti si sia affidata esclusivamente agli uffici amministrativi, senza fare un vaglio sulla documentazione». Tanto che alcune cifre dovute ai creditori, nelle prime comunicazioni, erano errate ed è stato necessario correggerle successivamente. Ad aggravare lo stato delle cose, ci sarebbero anche «altre responsabilità – continua l’avvocato – da imputare ai rappresentanti degli enti soci del Teatro Stabile, fra cui il Comune e la Regione,  che hanno approvato bilanci senza porre la questione dell’accertamento delle responsabilità del debito e del recupero delle somme dei buchi di bilancio». 

Adesso, mentre la decisione sul futuro dei creditori e dell’Ente è rimessa al giudice, il legale fa ricorso a un caso analogo, datato 2016, in cui nonostante il raggiungimento della maggioranza prevista dalla legge, il tribunale di Milano non ha omologato la proposta e ha revocato il decreto con cui aveva aperto la procedura di sovra-indebitamento. «In quel caso – spiega Cosentino – si trattava di un privato e, allora, un ragionamento del genere deve valere a maggior ragione quando il soggetto coinvolto è un ente pubblico». La Tutela degli onesti, secondo Cosentino, avrebbe dovuto «verificare la meritevolezza del soggetto sovra-indebitato – come si legge nella documentazione del tribunale di Milano – indagando sulle cause dell’indebitamento, sulla diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni, sulle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte, sull’attendibilità della documentazione allegata, sulla solvibilità del debitore e sulla sua condotta».

«Non è possibile – commenta l’avvocato – che, ogni volta che c’è un buco di bilancio, si chiedano soldi a enti più grossi o che paghino i creditori. Perché questo vorrebbe dire anche autorizzare implicitamente prossimi gestori di enti pubblici a farlo male. E questo non è ammissibile specie quando si ha a che fare con i soldi dei cittadini e non è vero – conclude – che chi non ha votato per l’accordo vuole la chiusura del teatro, solo che la decisione di presentare un accordo sulla composizione e ristrutturazione del debito sembra l’ennesima scelta di non voler accertare le vere responsabilità della crisi, tentando di addebitare ai più deboli il prezzo di anni di cattiva gestione».


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