L’informazione in Sicilia? Non gode di ottima salute

Dottor Nicastro, come sta l’informazione in Sicilia?

In questo momento non credo si possa dire che goda di ottima salute. Ci sono fenomeni di concentrazione, non allarmanti come in campo nazionale. Vige un sistema cristallizzato che è basato sulla divisione pacifica fra le tre maggiori testate siciliane: La Sicilia nella parte orientale, Il Giornale di Sicilia in quella occidentale, La Gazzetta del Sud a Messina e in Calabria. Si sono divise il mercato e quindi, non si può dire che c’è una grande concorrenza anche per via di incroci societari tra le varie testate. C’è un punto di confine che è rappresentato dalla direttrice tra Caltanissetta e Agrigento, dove La Sicilia e il Giornale di Sicilia entrano, forse, realmente in concorrenza. Poi è arrivata Repubblica, ha fatto l’edizione di Palermo, ma per uno strano accordo con lo stampatore, che è lo stesso editore de La Sicilia (Mario Ciancio, ndr) non arriva nella Sicilia orientale. Io so che alla base di tutto non c’è un una concorrenza sui contenuti giornalistici, ma c’è una preoccupazione sulla divisione del mercato pubblicitario, questo influisce molto, soprattutto in Sicilia e condiziona, molto, la libertà di informazione. Oggi i giornali, la carta stampata, soffrono la posizione dominante della televisione, e poi in Sicilia c’è un’ economia debole, che non consente l’investimento di cospicue risorse nella pubblicità e quelle che ci sono vengono orientate verso la televisione. Questo discorso è importante perché i maggiori clienti sono gli enti pubblici oramai, la pubblica amministrazione, i comuni, le province, la Regione. Tutti enti che sono controllati e amministrati dalla politica, quindi si stabilisce un rapporto troppo stretto tra pubblicità e informazione,e questo in Sicilia è uno dei problemi più seri, più gravi.

Perché Repubblica decide a livello nazionale di attaccare Berlusconi sul monopolio dell’informazione e in Sicilia fa accordi con Ciancio, favorendo un monopolio di fatto? perché decide di tacere?

E’ riferibile a problemi di interessi e di convenienze. Venire a stampare in Sicilia è un’operazione molto costosa. Repubblica dovrebbe fare notevoli investimenti o entrare come socio in uno stabilimento, un’operazione costosa. Alla base di tutto c’è una considerazione di ordine economico.
Poi ci sono accordi che riguardano i vertici dell’editoria italiana, e ci sono scelte che sono dettate da convenienze del momento.

Da che parte sta l’ordine dei giornalisti siciliano, dalla parte di report o dalla parte di Cuffaro?

Io ho fatto una dichiarazione pubblica in cui ho difeso il servizio pubblico che ha deciso di fare una trasmissione sulla mafia che non spara in prima serata, come non si vedeva da molto tempo.
E questo è un merito. Poi ho fatto una valutazione, sulla trasmissione, e ho riconosciuto, seppur non svelando chissà quali segreti, un taglio molto professionale e molto serio, tutto ampiamente documentato. Certo, era una trasmissione scomoda, forse per il potere, forse per alcuni, ma il giornalismo è questo. Deve essere un potere capace di marcare la propria autonomia, la propria indipendenza e deve essere in grado di criticare altri poteri. Per cui ho difeso report. Ma vorrei aggiungere una critica molto severa per la puntata rimatrice, come se ci fosse una sorta di parcondicio con mafia. Non è possibile.

Cosa ci dice sul caso Carlo Ruta, il cui sito d’inchieste, a Ragusa, è stato chiuso dal giudice?

Bisogna affermare un principio della assoluta libertà di dare le informazioni più scomode. Io penso però che ci sia un dovere di chi fa informazione, di rispettare sempre la verità e di presentare le cose rispettando la verità dei fatti. Non so i dettagli nella vicenda, so che c’è un procedimento della magistratura generato da una denuncia presentato da chi è stato chiamato in causa dalle cose scritte su questo sito. Dovrei conoscere gli atti, per poter esprimere dei giudizi. In linea di massima posso dire che la libertà di stampa va difesa sempre e comunque.


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