Droga Albania-Sicilia, ex ministro allontana le accuse «A Catania non indagato», domani vota il parlamento

«Si comunica che in riferimento al nominativo di Saimir Bashcim Tahiri non risultano, sino alla data odierna, iscrizioni presso la procura di Catania». Un foglio di carta proveniente dagli uffici giudiziari etnei, datato 23 ottobre, per allontanare dal proprio conto ogni sospetto su possibili indagini. È questo il passaggio saliente dell’ultima uscita di Saimir Tahiri, ex ministro dell’Interno albanese da giorni finito al centro di una dura polemica nel Paese balcanico, dopo il coinvolgimento nell’operazione Rosa dei venti dei suoi cugini: Moisi e Florian Habilaj. Entrambi accusati dai militari del Gico della polizia tributaria della guardia di finanza di narcotraffico internazionale di marijuana verso la Sicilia. Domani per l’ex ministro sarà una giornata cruciale. Una sorta di spartiacque che avrà il suo momento di massimo interesse con la votazione del parlamento albanese sulla revoca dell’immunità parlamentare e sul conseguente mandato d’arresto

«Dopo quattro anni d’indagine – spiega Tahiri riferendosi al lavoro portato avanti dai magistrati della procura di Catania – non sono stati trovati elementi utili per indagare nei miei confronti. Com’è possibile che qui in Albania, dopo le notizie dei giornali, si decida di chiedere il mio arresto?». Il riferimento è proprio all’inchiesta etnea e ad alcune intercettazioni, svelate in anteprima da MeridioNews, in cui i cugini si riferivano a «Tahiri», identificato dagli investigatori nell’ex ministro, come l’uomo a cui bisognava restituire del denaro proveniente dal traffico di droga. Il suo nome tuttavia non compare nella lista di indagati, in cui invece ci sono i siciliani Antonino Riela, Angelo Busacca, Gianluca Passavanti e Vincenzo Spampinato. 

Con loro anche un nutrito gruppo di albanesi, compreso Nezar Seiti. Quest’ultimo è stato arrestato a distanza di alcuni giorni dall’emissione dei mandati di cattura, mentre si trovava latitante nei pressi della cittadina costiera di Valona, in Albania. Entro 20 giorni gli investigatori italiani potranno presentare la richiesta d’estradizione al tribunale di Tirana. Negli atti dell’inchiesta, firmati dalla giudice Loredana Pezzino, Nezar sarebbe stato uno dei più stretti collaboratori del presunto capo Moisi Habilaj. «Affrontavano le trasferte in Italia a bordo di veicoli intestati a soggetti sicliani, tra i quali quello di Busacca», scrive la giudice. L’uomo si sarebbe interfacciato direttamente con chi commissionava la droga. A gennaio 2017 i finanzieri lo pedinano mentre si trova nel quartiere etneo di San Giovanni Galermo, ed è proprio durante uno di questi viaggi che Seiti avrebbe ricevuto la somma di 50mila euro per l’acquisto di una partita di droga. Soldi che poi sarebbero stati trasferiti in Albania attraverso un doppio fondo in un fusto di detersivo

La vicenda Tahiri non è però un fulmine a ciel sereno. Tra il 2014 e il 2015 era stato già finito nella bufera, accusato di collusioni con i cugini trafficanti di marijuana. A puntargli il dito contro il poliziotto antidroga Dritan Zagani, poi arrestato e costretto a rifugiarsi in Svizzera. Intanto il politico è stato esonerato dalle funzioni di partito e dal gruppo parlamentare dei socialisti albanesi. Una scelta voluta direttamente dal premier Edi Rama, che negli ultimi giorni sembra essersi allontanato dal suo ex collega di governo.  

Mentre la tensione sale, arrivano anche le dichiarazioni molto dure del procuratore capo della Repubblica albanese Adriatik Llalla. «Spesso – ha dichiarato – le organizzazioni del narcotraffico vengono sostenute da chi le deve colpire». «È molto importante – ha aggiunto il magistrato – che un procuratore possa svolgere l’inchiesta senza essere influenzato e senza temere, anche quando l’indagine coinvolge alti funzionari o ex alti funzionari pubblici». Llalla ha infine assicurato che in ogni caso «la procura continuerà l’indagine, come previsto dalle procedure». 


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