Il prete, i presunti abusi e l’esilio forzato a Bronte Incredulità dei fedeli: «Predicava in modo netto»

Tanto silenzio e parole pronunciate con il contagocce. A Bronte, il giorno dopo l’arresto di padre Pio Guidolin, tra i fedeli a prevalere è l’incredulità. In tanti sono rimasti spiazzati osservando la foto del sacerdote finita su tutti i giornali nella giornata di ieri. Accusato, dai magistrati della procura di Catania, di avere compiuto abusi sessuali su alcuni minorenni durante l’incarico nella chiesa Santa Croce nel quartiere Villaggio Sant’Agata. Un periodo, quello nella parrocchia periferica nel capoluogo etneo, con diverse ombre, compresa quella sulla gestione economica dei fondi. Elementi che costringono la curia a spostare Guidolin in altra sede, e per l’occasione viene individuata la chiesa Madonna del Riparo, proprio a Bronte. Il religioso arriva nella città del pistacchio a fine 2016 e ci rimane per diversi mesi del 2017. 

«Non ha mai celebrato la messa, ma lo vedevo sull’altare», racconta a MeridioNews un fedele, che preferisce rimanere anonimo. Guidolin durante il suo esilio forzato a Bronte è stato affiancato nella chiesa guidata da padre Vincenzo Bonanno, con funzioni di assistente durante le celebrazioni religiose, senza occuparsi di somministrare i sacramenti. «Ha fatto qualche predica, ed era pure bravo. Con un linguaggio giovanile e netto», conclude il parrocchiano. Lungo le strade del centro pedemontano tutti si dicono spiazzati dal coinvolgimento dell’uomo in questa storia ma in pochi hanno davvero voglia di parlare. «È stato ospita a casa mia e non mi sarei mai immaginata una cosa del genere», aggiunge una donna. 

Lo spartito tra Bronte e Catania sembra essere quasi fotocopia. Secondo la ricostruzione della procura, diversi fedeli avrebbero cercato di coprire il prete. Uno di loro, addirittura, lo avrebbe avvicinato dopo che gli inquirenti avevano ascoltato la testimonianza del figlio, presunta vittima, per avvisarlo dell’indagine. C’è poi chi è stato allontanato e accusato di calunniare padre Pio Guidolin. «Ha battezzato e fatto la prima comunione a mio nipote – spiega un parrocchiano della chiesa Santa Croce -. Non ci saremmo mai immaginati una vicenda del genere». Adesso, dopo avere letto le accuse sui media, serpeggia la paura: «Mia sorella dopo avere letto la notizia ha chiesto alla figlia se è stata toccata dal prete, mai lei ha risposto di no», prosegue l’uomo.

Nella chiesa periferica, cuore pulsante della religiosità in quella fetta di Catania, padre Guidolin non è più di casa dalla fine del 2016. Allontanato dalla curia e sostituito per poche settimane da don Alfio Spampinato. A sua volta rimosso dopo avere sollevato il problema dei debiti. Circa 40mila euro provenienti dalle gestioni precedenti. «Adesso c’è un prete poco più che trentenne – conclude il parrocchiano -. Me le cose vanno diversamente. A quei tempi – dice, riferendosi al periodo di Guidolin – tutto veniva fatto in grande stile, ricordo, per esempio, una faraonica edizione dei giochi della gioventù»

Alla vicenda penale che coinvolge il sacerdote, autore dei presunti abusi sessuali, si somma quella già avviata nel campo della giurisdizione ecclesiastica. La curia etnea, appreso delle indagini, aveva appunto confinato padre Guidolin a Bronte, privato delle sue funzioni, dando in parallelo avvio a un processo canonico ad oggi pendente in grado di appello dinanzi alla Congregazione per la dottrina della fede. La condanna in primo grado aveva decretato la sanzione massima della riduzione allo stato laicale.


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