Scommesse illegali all’ombra della famiglia Santapaola «Mi ha intestato una società, sono il coglione di turno»

Per giocare sui tavoli verdi del gioco d’azzardo maltese non c’è più bisogno di spostarsi fisicamente nell’isola nel mar Mediterraneo. Le puntate da tempo corrono sul web e nel betting hanno investito in maniera netta le mafie, compresa la famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Ne sono convinti anche la procura di Roma e i militari delle Fiamme gialle di Frosinone, che nei giorni scorsi hanno portato a termine un blitz su un presunto giro di scommesse illegali, celate attraverso una fitta rete di internet point. Il «dominus», come lo definisce la giudice per le indagini preliminari Elvira Tamburelli, sarebbe stato Danilo Di Maria. Imprenditore originario di Catania, ex impiegato in una sala Bingo, ormai da anni di base nel Lazio. Vecchia conoscenza degli uffici giudiziari etnei perché già finito in manette, e condannato in primo grado, nell’operazione Bulldog. Di lui ha parlato il pentito Eugenio Sturiale, accusandolo di occuparsi di riciclare denaro per conto del presunto capomafia etneo Roberto Vacante.

Il nome che compare più volte nei documenti dell’inchiesta del nucleo provinciale della Gdf frusinate, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia, è proprio quello del 47enne Di Maria. A lui sarebbero riconducibili alcune società finite sotto la lente ingrandimento. Di fatto agenzie di scommesse per raccogliere giocate online, collocate tra le province di Roma, Latina e Frosinone, sulla carta internet point registrati per effettuare servizi di fotocopiatura e supporto per gli uffici. Di Maria, che è finito in carcere, avrebbe agito dietro le quinte, servendosi della complicità della coniuge Giovanna Fichera, e di altre persone finite indagate. 

Tra di loro c’è Gastone Breddo, titolare, sulla carta, della Copybet srl, ma di fatto con una situazione patrimoniale che non gli avrebbe consentito nemmeno di andare a fare la spesa per se stesso. Per i finanzieri è lo stesso indagato ad ammettere, durante un’intercettazione dell’inchiesta, il suo ruolo: «Mi ha intestato un’altra società – racconta – Io sono il coglione di turno e servo come testa di legno». Di Maria in realtà si sarebbe occupato di tutto: dal pagamento degli affitti dei locali, sparsi tra Roma, Latina, Cassino e Ferentino, fino all’acquisto degli arredi. Quando i due parlano al telefono capita anche che si prendano gioco delle forze dell’ordine. Succede dopo un controllo in un internet point: «Facciamoli fessi e contenti», dicono riferendosi ad alcuni documenti da consegnare.

La vera factotum del gruppo sarebbe stata però la moglie di Di Maria. Bollata in un’intercettazione come «la signora delle monete» perché deputata a scambiare i contanti delle agenzie attraverso alcuni esercizi commerciali privati. A lei si rivolge il marito quando ci sono le perquisizioni ma anche quando bisogna recuperare i soldi per pagare il passaggio delle quote della F&F Games di Cassino. Anche in questo caso a beneficiarne come titolare sarebbe stato il presunto prestanome Gastone Breddo. Ma a metterci i soldi, almeno secondo gli inquirenti, è sempre Di Maria: «Sono con l’avvocato – dice intercettato alla moglie – Porta duemila euro che gli do l’acconto». Nel reticolo delle società di scommesse gestite dai prestanome finisce la Cartobet di Licata, provincia di Agrigento, ma attiva anche nel frusinate per conto dell’indagato Antonino Damanti. Ma chi è Danilo Di Maria? Il suo identikit passa anche dall’inchiesta Bulldog, dove è accusato di essersi occupato di alcuni furti su delega di Vacante. Obiettivo nel 2013 la sala bingo Galletto d’oro di Ferentino, la stessa dove lavorava e di cui avrebbe fornito le chiavi d’accesso ad alcuni complici. Andato via da Catania ormai da diversi anni, prima di buttarsi nel gioco online Di Maria è stato gestore di un centro estetico in via Pietro Mascagni, nel capoluogo etneo. 

Nelle agenzie riconducibili all’uomo le puntate sarebbero passate attraverso dei bookmakers stranieri non abilitati ad operare in Italia. Come l’agenzia online Prisma Bet, con sede legale nel paradiso fiscale caraibico di Curaçao. Gli indagati avrebbero utilizzato un singolo conto, chiamato Prisma, attraverso il quale venivano realizzate le puntate su mandato del cliente. I soldi, quelli veri, nella cassa digitale per effettuare le giocate li avrebbe ricaricati sia la coniuge di Di Maria che lo stesso uomo. Ci sono poi i totem, ovvero gli apparecchi per il videopoker e le slot. Anch’essi collegati su portali stranieri, come il maltese Click Buy. Dietro le accuse a Di Maria e soci però, secondo la gip, non ha retto la richiesta dell’aggravante di avere favorito la mafia. Contrariamente a quanto sostenuto dai magistrati della procura di Roma. «Gli indagati e in primis Di Maria – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – sono soggetti dediti con professionalità a questa pratica illecita e traggono i mezzi di sostentamento esclusivamente dal crimine».


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