Il fotografo catanese che ha vinto i Sony Awards «Visto dall’alto tutto ha una prospettiva diversa»

Un drone, un telecomando e un Ipad. Sono questi gli strumenti del mestiere di Placido Faranda, il 39enne originario di Bronte che con le sue fotografie permette a tutti di guardare i luoghi da un altro punto di vista. «Dall’alto tutto ha una prospettiva completamente diversa», racconta a MeridioNews l’uomo, che è autore di due Photo of the day del National Geographic e suo è anche lo scatto che si è classificato finalista al più importante concorso fotografico al mondo, i Sony World Photography Awards.

Faranda vive a Lugano e, da oltre 15 anni lavora nel settore del marketing per una nota azienda di personal computer. «La fotografia non è la mia professione e mai vorrei che lo fosse – dice – perché è la mia terapia, la mia passione: mentre fotografo penso solo a quello che sto facendo in quel preciso momento e a nient’altro». Non si stenta a crederlo visto il coordinamento che richiede ogni singolo scatto compiuto con un oggetto in volo. «Sullo schermo dell’Ipad vedo, in tempo reale, la resa della composizione dell’immagine e tutte le coordinate di volo del drone con la possibilità di seguirlo anche sulla mappa – spiega – dunque, devo controllare e gestire contemporaneamente sia i parametri della macchina fotografica che quelli aerei dello strumento, tenendo in considerazione anche il fatto che il drone può stare nel cielo solo per 25 minuti prima che si scarichi la batteria».

Il suo stile fotografico è quello della top-down. «Un paradigma completamente diverso che ho scoperto per caso – racconta – Ho iniziato più di dieci anni fa a sperimentare con una reflex, poi sono passato a una mirrorless perché avevo già capito di avere una predilezione per gli scatti rubati e naturali». Dopo circa cinque anni di studio da autodidatta e di pratica della fotografia «mi ero stancato, non ero più soddisfatto di quello che riuscivo a realizzare, volevo qualcosa di diverso». E questo qualcosa arriva, per caso, nella vita di Placido nel maggio del 2016. «Un mio amico aveva comprato un drone, quando l’ho provato – ricorda – ho subito pensato che sarebbe stato perfetto riuscire a coniugare quella dimensione tecnologia con la fotografia». 

Il greco Costas Spatis e l’inglese Tommy Clarke sono i fotografi da cui Placido più si lascia ispirare per l’originalità dello stile in cui si perde la dimensione dell’altezza e si esaltano le forme. «Prima di fare una foto, studio molto il posto che ho scelto partendo dall’analizzarlo con l’aiuto di Google maps e Google earth per capire se corrisponde all’idea che ho in testa, se le geometrie sono quelle giuste e se i giochi prospettici hanno la resa ideale. La combinazione che mi piace di più è inserire le persone in contesti naturali bellissimi», afferma Placido facendo riferimento a Lady in red scattata in Montenegro durante una vacanza. «La donna in rosso è la mia ex moglie e quella foto ce l’avevo in mente proprio così da tanto tempo, poi lì ho trovato il posto perfetto ma ho dovuto aspettare più di quattro ore per avere la luce giusta. Il Montenegro – dice – è un Paese di contrasti che mi ricorda anche molto la nostra Sicilia: da una parte una bellezza naturale da togliere il fiato e dall’altra lo sfregio degli abusi edilizi». 

Dietro ogni scatto di Placido c’è un racconto. «Altra foto a cui sono particolarmente legato è quella scattata sull’Etna. Lì ero insieme a mio nipote – racconta – Ero venuto in Sicilia a trovare i miei genitori e avevo visto che c’era una lava molto bella sulla montagna. Dopo quella, ho pensato di mandarle alla World Photography Organisation anche se – ammette – guardavo a quel premio talmente da lontano che mai avrei pensato di poter creare immagini pazzesche come quelle che erano state selezionate negli anni passati». Oggi Placido collabora con parecchi trend, con hotel in Svizzera e in Thailandia e ha ceduto i diritti su alcune delle proprie immagini anche a una delle più grandi ditte cinesi che produce droni. «Ho una grande motivazione ad andare avanti e cerco sempre di migliorarmi, non tanto per queste collaborazioni che rischiano di diventare un elemento di stress, quanto perché mi piace l’idea che le altre persone possano vedere esattamente quello che ho visto io». 


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