Centri storici: residenti in fuga, tranne a Palermo Siracusa penultima in Italia, crollano giovanissimi

Un check up completo dei centri storici dei nove capoluoghi siciliani, un’analisi di come sono cambiati nel primo decennio del nuovo millennio: chi ci abita? Che posto trovano anziani e giovani? Quali attività produttive hanno messo radici e si sono sviluppate? Che variazioni ha subito il valore del loro patrimonio immobiliare? È un’approfondita analisi dell’Associazione nazionale centri storici artistici, in collaborazione con il Centro Ricerche Economiche e Sociali del Mercato dell’Edilizia, a fornire una fotografia a livello nazionale. Nell’Isola emerge un quadro dalle tonalità diverse, con Palermo, Messina e Ragusa che registrano alcuni dati positivi, a bilanciamento di altri negativi; Catania, Caltanissetta, Enna e Trapani in un lento declino e una grande sconfitta: Siracusa, in fondo alla gran parte delle classifiche dei 109 capoluoghi italiani. Peggio del capoluogo aretuseo ha fatto solo L’Aquila, che ha però una gigantesca attenuante: il terremoto del 2009 che ha sostanzialmente cancellato il suo centro storico. 

Lo studio prende in esame il decennio compreso tra il 2001 e il 2011, arrivando al 2016 nell’analisi di alcuni dati (presenza di turisti e di stranieri, valore delle case nelle compravendite immobiliari). Emergono alcuni trend nazionali, a cominciare dall’incremento dell’occupazione del 18,7 per cento, figlia di una doppia dinamica: la diminuzione degli addetti all’industria e all’artigianato da un lato, dall’altro una fortissima crescita dei servizi personali (istruzione, sanità, attività ricreative), e in misura minore anche dei servizi pubblici e di quelli al consumo (attività commerciali e ricettive). Di conseguenza aumenta in maniera esponenziale il numero di case destinate a residenze per turisti. Sulla base di queste premesse si potrebbe arrivare alla conclusione di uno spopolamento dei centri storici. E invece i dati delineano una sostanziale stabilità della popolazione residente (-0,1 per cento).

Stringendo il raggio dell’analisi ai nove capoluoghi siciliani, la mappa è a macchia di leopardo. A Palermo (+8,8 per cento) e Messina (+10 per cento) aumentano i residenti in centro, mentre diminuiscono nel resto della città. Una tendenza che le accomuna a tante altre realtà italiane. Cresce, anche se in misura minore, la popolazione nel centro di Agrigento (+4 per cento), mentre resta sostanzialmente invariata a Caltanissetta (+ 1 per cento). Dati negativi si registrano a Catania, Trapani, Enna e Ragusa (il capoluogo ibleo cresce invece fuori dal centro). In fondo alla classifica nazionale c’è Siracusa, dove i residenti in centro sono diminuiti del 16,8 per cento. Peggio, come detto, ha fatto solo L’Aquila dove gli abitanti della parte vecchia della città sono stati costretti dal sisma a una forzata diaspora. 

Ma com’è cambiata la tipologia delle persone che vivono nei centri storici siciliani? Sono diminuite in maniera sensibile le famiglie a Siracusa (-11%), Ragusa (-6,8%), Enna (- 5,6%), che si piazzano in fondo alla classifica nazionale per questa categoria. In particolare nella città aretusea la metà dei nuclei famigliari è formato da un solo componente. Si fanno meno figli. E di conseguenza la presenza di giovanissimi (i minori di 15 anni, quindi non in età lavorativa) cala sensibilmente. È successo in particolare tra il 2001 e il 2011 a Ragusa (-12 per cento nell’indice di dipendenza dei giovani – il rapporto percentuale tra gli under 15 e la popolazione in età lavorativa dai 15 ai 64 anni), Agrigento e Catania (-15), Trapani (-20), Enna (-25). E soprattutto a Siracusa, ancora una volta penultima prima di L’Aquila, dove la percentuale è scesa del 34 per cento. All’opposto Palermo è la grande città italiana dove l’incidenza di anziani in centro storico è minore (il 17,8 per cento), con un calo tra il 2001 e il 2011 di oltre sette punti percentuali. Ma in generale anche gli anziani, così come i giovani, sono in diminuzione in diversi centri storici: a Catania, Caltanissetta e Siracusa. L’unica che sembra fare eccezione è Messina, dove gli over 65 sono aumentati.  

Palermo spicca anche per il numero di stranieri che si concentra nel centro storico. Con un numero totale di residenti nel Comune ancora inferiore rispetto alle grandi città del centro-nord, il capoluogo siciliano però si distingue, insieme a Genova, per la percentuale di coloro che vivono nella parte vecchia della città: l’indice di incidenza sul totale della popolazione è del 18 per cento (12esima in Italia). A questi dati – meno anziani, più giovani e stranieri – Palermo ne accompagna un altro: è una delle città italiane (la nona) dove ci sono più edifici inutilizzati in centro storico, un immobile su dieci è vuoto. Fanno addirittura peggio altri tre capoluoghi siciliani: a Caltanissetta (terza a livello nazionale) questa percentuale sale al 20,4 per cento; ad Agrigento si attesta al 12,9; a Trapani all’11,4. Quattro città dell’isola nelle prime dieci posizioni, e Siracusa è 18esima. Risultato, sottolinea lo studio, figlio di «abbandono e criticità».

Per il prezzo medio di vendita delle case del centro, quasi tutte le città siciliane occupano le ultime posizioni della classifica nazionale. Comprare un appartamento in centro a Palermo costa, ad esempio, sei volte meno che farlo a Milano o a Roma (prime in questa classifica). Prezzi ancora più bassi a Siracusa, Trapani, Agrigento, Ragusa e Caltanissetta. Però nell’ultimo biennio, tra il 2014 e il 2016, si registrano dei dati positivi: a Ragusa il numero delle compravendite è cresciuto del 50 per cento (è la sesta in Italia per percentuale di crescita), a Siracusa del 47, a Catania del 33. 

Infine, c’è il capitolo lavoro. Tra il 2001 e il 2011 in Italia sono solo 14 i capoluoghi dove gli addetti a unità locali di imprese (in particolare di consumo, cioè commerciali e ricettive; personali, quindi istruzione, sanità, attività ricreative; e di produzione: credito e assicurazioni, attività immobiliari, noleggio di macchinari e attrezzature, informatica e attività connesse, ricerca e sviluppo, altre attività professionali), nonché addetti a istituzioni e associazioni non profit sono diminuiti. Tra queste ci sono due città siciliane: Caltanissetta e Catania. In particolare il capoluogo etneo ha perso più del 15 per cento dei lavoratori in questi settori e il 13 per cento di imprese.


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