Etna, spunta la scoperta dell’acqua calda Studio ridisegna le dinamiche del vulcano

Recentemente ha catalizzato molta attenzione la pubblicazione su Earth-Science Reviews, autorevole rivista nel settore delle scienze della Terra, dei risultati di una ricerca condotta da Carmelo Ferlito, docente di vulcanologia all’università di Catania. Il titolo del suo articolo – L’Etna: semplicemente una gigantesca sorgente d’acqua calda! – ha suscitato comprensibile clamore tra i numerosi amanti della Muntagna. Dietro la provocazione che solo apparentemente vuole declassare il vulcano, in realtà, ci sono risvolti ben più pregnanti dal punto di vista scientifico. 

Il punto di partenza di Ferlito è un enigma vulcanologico che ancora oggi fa discutere, noto come eccesso di degassamento: in pratica, l’Etna emette molto più gas rispetto a quello che può essere contenuto all’interno del magma. Ѐ noto infatti che ad un certo quantitativo di magma è associato un corrispettivo contenuto di gas, in genere molto inferiore rispetto al totale. Osservando l’Etna, in effetti, l’enorme quantità di gas emessa giornalmente (tonnellate di vapore acqueo, anidride carbonica, anidride solforosa e altre varie specie) non trova riscontro in eruzioni di analoga entità. Quindi, la domanda di fondo dello studio è stata: dove va a finire questo «magma fantasma» che non erutta e di cui vediamo uscire soltanto il gas?

La spiegazione finora data dalla comunità scientifica si basava su un continuo flusso di magma fresco (ricco di gas) che proveniva dal mantello terrestre e che risaliva lungo il condotto dell’edificio vulcanico, rilasciando il proprio contenuto gassoso, per poi invertire il suo percorso e risprofondare. Questa teoria, però, avrebbe alcuni punti deboli ben evidenziati da Ferlito nel suo articolo: innanzitutto la perdita di gas di questo magma non eruttato creerebbe un tappo che ostruirebbe il condotto, mentre l’Etna è un vulcano a condotto aperto; in secondo luogo, una risalita così importante e continua di magma causerebbe ampie e continue deformazioni nei fianchi del vulcano che, secondo i calcoli di Ferlito, dovrebbe gonfiarsi come un palloncino. In realtà le deformazioni  non sono così significative di quelle realmente misurate. Il modello sostenuto dal docente si basa su una reinterpretazione di alcuni dati raccolti in quattordici anni di studi sul vulcano. 

Il ricercatore calcola una quantità di vapore acqueo emesso durante la sua attività ordinaria (in assenza di eruzioni) che risulta essere dieci volte maggiore di quello che potrebbe essere contenuto nel magma. Ferlito quindi ipotizza la presenza, in profondità, di un’enorme miscela di acqua e gas ad altissima temperatura e bassissima densità e viscosità. Il gas proveniente da questo sistema migrerebbe verso la parte più superficiale del condotto e il risultato sarebbe ogni giorno sotto i nostri occhi: un continuo flusso di gas che fuoriesce dai crateri. Perdendo la componente gassosa (più leggera), il sistema, però, diventa meno fluido (più denso e viscoso). Le bolle di gas si faranno strada con difficoltà via via maggiore perché dovranno contrastare sempre più resistenza da parte di un materiale ancora fuso, ma molto più viscoso man mano che andrà perdendo i gas.

«L’Etna si comporta come una vecchia marmitta scassata – spiega Ferlito a MeridioNews sorridendo –  quando il flusso di gas/calore è alto tira fuori vapore “pulito”, ma se c’è molto basalto nel suo sistema di alimentazione superficiale o se il flusso di gas diminuisce, allora comincia a “tossire” e ogni colpo di tosse è un’eruzione». Stando così le cose, a questo punto, è come se invece che parlare di camera magmatica vera e propria, ci si debba riferire più che altro ad una sorgente di gas in grado di controllare un eruzione. Ferlito racconta come una fondamentale intuizione alla sua ipotesi sia arrivata mentre si trovava sul bordo del cratere di Sud Est osservando alcune fratture che, pur non avendo dato luogo a eruzioni, manifestavano, per mesi, visibili incandescenze al loro interno. Ciò gli suggerì che, evidentemente, la quantità di calore che il gas era capace di trasmettere era tale da poter arrivare addirittura a fondere la roccia sovrastante. Le osservazioni e le idee espresse da Ferlito potrebbero sovvertire il modello classico con cui il sistema vulcanico viene studiato. Se quanto sostenuto dal ricercatore, infatti, fosse ulteriormente confermato da altri studi, ciò vorrebbe dire che il plume (la colonna di gas) costantemente presente sopra il vulcano attivo più alto d’Europa non sarebbe originato dal degassamento del magma, bensì da un flusso di gas caldo indipendente

Niente paura però: l’Etna è e rimarrà un vulcano e non si pone nessun problema di nuove classificazioni. Nell’articolo di Ferlito, d’altronde, non viene mai dichiarato il contrario. «Potenzialmente questo lavoro potrebbe costituire il nuovo modello di riferimento con il quale interpretare tutti i dati che vengono ogni giorno prodotti dalle reti di monitoraggio di Etna e Stromboli – conclude Ferlito – Ma temo che ci vorranno tempo e sforzi prima che la comunità scientifica nazionale ed internazionale accetti queste nuove idee». Nel frattempo, noi potremo continuare a guardare il nostro vulcano con il rispetto che merita e, da oggi, con una consapevolezza in più: il suo interno potrebbe essere molto diverso rispetto a come lo abbiamo sempre immaginato.


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