Sant’Agata, l’analisi del capovara sui festeggiamenti Il rilancio e le ombre, sognando «il ritorno al passato»

Visto da vicino è un tranquillo catanese tutto d’un pezzo, devoto di Sant’Agata da quando era bambino. A discapito dell’età anagrafica precursore di un ritorno al passato della festa della patrona della sua città. Claudio Consoli, 38 anni, parla con il fuoco negli occhi e ribadisce più volte che ombre e presenze inopportune non hanno nulla a che vedere con il vero spirito dei festeggiamenti. Gli stessi che da anni sono al centro di una difficile opera di rinnovamento, per scrollare loro di dosso il binomio tra mafia e fede. Nella vita di tutti i giorni Consoli gestisce un bar ma in mezzo a quell’esercito di persone vestite di bianco tutti lo conoscono per il suo ruolo di maestro del fercolo di Sant’Agata. Una presenza costante e insostituibile ma anche lui è stato uno di loro: prima devoto semplice, poi aiutante nello smistare la cera e infine responsabile della parte posteriore della vara. Nell’ultima edizione, come svelato da MeridioNews, ha dovuto fare i conti con la presenza di un condannato per usura nella zona dove vengono poggiate le candele, decidendo di sollevare dall’incarico un suo collaborare. «Paga il singolo ma è una sconfitta di tutti», precisa mentre scambiamo due chiacchiere nella sagrestia della cattedrale a poche ore dalla processione dell’Ottava.

Sant’Agata 2018. Com’è andata?
«Il mio resoconto finale è positivo. Tutto si è svolto in maniera tranquilla nonostante l’elevato numero di fedeli presenti nella due giorni del 4 e 5 febbraio. Ho notato maggiore compostezza e tranquillità».

Ci spiega il suo lavoro?
«Dirigo dall’alto i movimenti del fercolo in processione. Un compito non facile. Diciamo che deve avere una sua dignità nel cammino, procedendo al centro della strada mentre viene tirato da due cordoni, uno lungo 127 metri, l’altro 130 metri. L’attenzione maggiore è quella di tenerlo diritto. In mezzo c’è il servizio ai fedeli, ovvero prendere offerte, fiori, fazzoletti, immaginette. È un contorno di una certa rilevanza e riuscire ad amministrare tutto non è mai semplice».

Prima di diventare il maestro del fercolo che tipo di gavetta ha fatto?
«Sono stato responsabile del baiardo posteriore nel triennio 2012-2014. Ma ho cominciato ben prima. Da ragazzo sono stato iscritto al circolo Sant’Agata e mi occupavo dello scarico della cera con altri coetanei, cercando di apprendere dai più anziani. Quando sono diventato grande ho iniziato a prendermi le prime responsabilità, in particolare nella parte posteriore del fercolo, dove arriva il grosso della cera. Nel 2015 sono diventato il più giovane maestro del fercolo di sempre».

Come funziona il suo mandato?
«Sono stato nominato in base all’accordo tra sindaco e vescovo. La mia opera è rinnovabile ogni biennio. I termini dovrebbero essere di sei anni anche se non è facile sostituire la figura del capo mastro. Ci potrebbe essere qualcuno che ambisce a prestarsi a un ruolo simile, ma è chiaro che bisogna avere le competenze».

Lei ha il ruolo di maggiore prestigio ma c’è anche una squadra di collaboratori. Quanti sono e con che ruoli?
«C’è un team di 35 persone. Di questi 12 sono i responsabili mentre il resto sono degli aiutanti. Il gruppo maggiore è quello di coloro che si occupano della cera. Poi abbiamo due persone per il baiardo davanti, tre per quello di dietro. Due persone hanno il compito di controllare le maniglie e 12 la cera. Infine c’è il responsabile della cappella che è Salvatore Pitatella, che è uno dei più anziani del gruppo con i suoi quasi 70 anni. Due persone si occupano del ponte radio e una dello scrigno».

Ritardi e orari. Perché prima si riusciva a rientrare prima?
«Lo dico chiaramente: dal 1998 in poi i tempi si sono sempre più allungati. Quest’anno giorno 4 abbiamo avuto una confusione stratosferica e tantissima cera, come nel tratto piazza dei Martiri-Stazione, accumulando ritardi. Ci sono diversi aneddoti che la gente dovrebbe conoscere».

Per esempio?
«Prima della salita dei Cappuccini, qualcuno mi urlato di fermarmi. Cos’è successo? C’erano delle persone con i passeggini in mezzo alla strada. Il tempo di farli spostare e rimettere in moto il fercolo e passano non meno di 15 minuti. Analizzando tutto il percorso è chiaro che il tempo si perde».

La vera questione resta però quella di giorno 5. Il giro interno.
«Prendiamo atto che ci sono le torce. Siamo arrivati davanti alla villa Bellini in ritardo, percorrendo la via Caronda in meno tempo rispetto allo scorso anno. Poi a piazza Borgo bisogna fare la manovra con i cordoni e lo scarico della cera. Alle 6.20 sparano i fuochi e poi impieghiamo un’ora e trenta minuti per riscendere. Ci riesco perché non ho più nessuno davanti alle maniglie. I tempi sono questi e dipendono dalle torce e dalle loro soste e noi non possiamo certamente alzare i toni durante la processione».

Ma a lei non manca la suggestione di certi momenti del passato? Per esempio la salita di Sangiuliano con il buio.
«Metterei la firma per tornarci. Rifare quella strada in notturna sarebbe un sogno, lo stesso vale per il canto delle Clarisse. Io però non ho la bacchetta magica. Sono giovane ma il mio cuore è legato a quei momenti della festa».

Non c’è il rischio che la festa abbia perso i suoi tradizionali momenti di fede? Addirittura qualcuno invoca una pausa di riflessione.
«Non sono d’accordo. Io noto maggiore compostezza attorno al fercolo e quest’anno ho dato maggiori attenzioni al cordone. Perché voglio riportarlo ai fasti di una volta, quando i ragazzini chiedevano il permesso per toccarlo. Capisco che i tempi sono cambiati ma deve tornare anche il rispetto. Non può esserci un cordone di gente che fuma, mangia o con persone che non indossano il sacco. Tutto questo non è positivo. La festa di Sant’Agata non è una scampagnata e i fedeli devono rispettare l’abito che portano, rendendosi conto che il cordone è attaccato al fercolo. Anzi, io sogno un cordone fatto di persone con i guanti bianchi, come una volta. Forse è un’utopia ma sognare non costa nulla».

Il 2018 è stato anche un’edizione con qualche ombra. Le abbiamo raccontate sul nostro giornale: l’ex presidente Pietro Diolosà sotto la varetta e il condannato per usura Antonello La Rosa in posizione di prestigio sul candeliere.
«Ho deciso, e lo rifarei subito, di prendere dei provvedimenti immediati rimettendo il mandato del responsabile del baiardo».

Resta il fatto che queste persone siano riuscite a inserirsi.
«Perché non c’è stato il pugno fermo da parte di chi doveva vigilare. Se io rimuovo un responsabile significa che abbiamo perso. È una sconfitta per tutto il gruppo che gestisce. Di contro c’è da dire che facciamo delle riunioni preparatorie con direttive precise. Se poi qualcuno non le rispetta ne paga le conseguenze. Quella persona non si doveva trovare in quel posto».

Ma nonostante tutto fa parte dell’ambiente dei festeggiamenti.
«Dovrebbe stare a distanza. Io spero che ci sia sempre possibilità di redimersi ma l’imputazione resta pesante. Ognuno è libero di mettersi il sacco ma in determinati posti non puoi stare».

L’ex responsabile sollevato dall’incarico le ha detto qualcosa per giustificarsi?
«Mi ha detto che ha sbagliato. Anche perché La Rosa non si è lanciato sul candeliere. Lui ha domandato e la porta è stata aperta da dentro. Fatti come questo non devono esistere più».

Si sente di lanciare un messaggio ai devoti per la prossima edizione della festa?
«Vorrei dire loro di rispettare sempre Sant’Agata. Ma anche di stare uniti perché con la collaborazione proficua di tutti si possono ottenere dei buoni risultati».


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