Il sindaco di Acireale, il controllo e la mediazione Intercettazione: «Ti ha cercato perché vuole voti»

Il sindaco «spregiudicato» ordina e l’ispettore dei vigili urbani esegue. Tutto a pochi giorni dalle regionali dello scorso novembre. Un gioco delle parti in cui, stando all’accusa, emergerebbe il condizionamento del voto. Gli interpreti principali sono due: il rampante primo cittadino di Acireale, il 41enne Roberto Barbagallo, e il luogotenente della polizia municipale Nicolò Urso. Il primo, eletto nel 2014, adesso si trova in carcere, mentre l’esponente delle forze dell’ordine ai domiciliari. Tutto nell’inchiesta Sibilla, coordinata dai procuratori etnei Sebastiano Ardita e Fabio Regolo. Un fatto inserito dentro un’indagine più ampia, in cui figurano altri 15 indagati per corruzione, turbativa d’asta e induzione indebita per appalti tra Acireale e Malvagna, in provincia di Messina

Il 19 ottobre 2017, a meno di venti giorni alla tornata elettorale per il rinnovo del parlamento siciliano, gli inquirenti ascoltano un dialogo all’interno della stanza del sindaco. Barbagallo, rigorosamente in dialetto siciliano, chiede al luogotenente Urso «na cosa elettorale». Ovvero un controllo specifico all’attività commerciale ambulante di due venditori di frutta: i fratelli gemelli, anche loro finiti indagati, Salvatore e Sebastiano Principato. «Ci po’ iri pi’ mpoco spagnaraci», che tradotto in italiano significa: «Ci puoi andare per farli spaventare un poco». Urso, secondo la ricostruzione dei magistrati, si sarebbe dovuto recare dai commercianti, in via San Martino, al solo scopo di «intimidirli», così da rendere necessario un faccia a faccia con il sindaco. Sul tavolo, alla fine di questa rete di contatti e controlli, sarebbe finito «uno scambio di favoritismi con promessa elettorale». Raggranellare consensi, attestano gli inquirenti, per il referente politico del sindaco, il deputato uscente Nicola D’Agostino (non indagato). Quest’ultimo ex autonomista, come Barbagallo, rieletto all’Ars con il movimento di centrosinistra Sicilia futura. Per uno strano incastro di date l’inchiesta di oggi arriva come una bufera sulla cittadina dei cento campanili, perché D’Agostino è nuovamente candidato, ma questa volta al parlamento nazionale con il Partito democratico

Urso si sarebbe attivato immediatamente dopo la richiesta del sindaco, tanto che poche ore dopo quest’ultimo riceve una chiamata da un consigliere comunale, non indagato, ma uomo di fiducia di Barbagallo. Lo stesso gli spiega che i fratelli Principato vogliono incontrarlo: «Ma ti chiamanu iddi ora?», chiede. «Sebastiano», gli risponde il consigliere eletto nel 2014 con centinaia di voti. Le telefonate si susseguono e il giorno successivo Barbagallo chiede ragguagli dell’ispezione al vigile urbano, bollato negli atti dell’inchiesta come «un fedele esecutore». «Assicurazione l’avi … non c’avi a revisioni […] ci dissi di fariccilla immediatamente altrimenti du camion dà non po stari», gli spiega commentando la posizione di un mezzo utilizzato dai Principato. Prima di congedarsi dai commercianti Urso gli avrebbe spiegato che si sarebbe sentito con il sindaco: «Ci dissi… ma sentiri cu tia». 

Sabato 21 ottobre si sarebbe svolto il tanto voluto incontro tra il sindaco e i commercianti. Per l’occasione la sede scelta è proprio l’abitazione del primo cittadino. Ma questi non sono i soli a essere presenti: alla riunione, come monitorato dagli inquirenti, entrano in scena sia il consigliere comunale che un quinto uomo. Il gruppo discute fuori e dentro la casa di Barbagallo, mentre il sindaco a un certo punto si sarebbe allontanato con il solo Sebastiano Principato. A parlare con il fratello gemello restano gli altri due, promettendo che sarebbe stato risolto qualunque problema burocratico anche arrivando «a bruciare le carte».

Altri dettagli emergono il giorno dopo, quando l’ambulante chiama lo zio. «Mi hanno mandato a chiamare perché ci sono le elezioni», gli spiega. Il parente però lancia l’avvertimento: «Ti ha cercato perché vuole il voto […] ora vi riescono ad abbindolare». Prima di congedarsi, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un passaggio chiave della faccenda, quello in cui uno dei due fruttivendoli dice di avere lasciato la licenza commerciale nella buca delle lettere, a casa del sindaco: «Roberto voleva dei documenti… Io già ce li ho portati… Per la mia licenza… Che ci serviva per lui una copia».


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