Blogger dai campi e dalle officine

Sono giovani, hanno un lavoro e vivono all’estero: sono i due ideatori italiani dell’Isola dei Cassintegrati, il reality che dà voce ai lavoratori in cassa integrazione tramite la Rete. Michele Azzu, ventiseienne laureato in comunicazione e musicista di professione, residente a Londra, e Marco Nurra, ventisettenne giornalista praticante al El Mundo e informatico al Grande Fratello spagnolo, hanno guadagnato con il loro blog-testimonianza – che è partito dalla protesta dei cassintegrati della Vinyls all’Asinara e adesso racconta le vertenze di oltre quindici aziende italiane – un secondo posto ex-aequo al premio Eretici Digitali assegnato al Festival del Giornalismo di Perugia. Noi li abbiamo intervistati.

Voi non siete cassintegrati. Come mai vi siete interessati alla protesta operaia e all’occupazione
dell’Asinara?

Michele: «Il legame è nato dal fatto che mio padre è un operaio della Vinyls, che è in cassa integrazione. Non fa parte del gruppo che sta da un anno all’Asinara ma comunque lavorava lì. Io in quel momento ero a Londra, dove faccio il musicista anche se ho studiato comunicazione a Bologna, e ho avuto l’idea di aprire un gruppo Facebook. Da lì è partito il boom mediatico, il gruppo si è ingrandito ed è arrivato a 10.000 iscritti. Perfino Gilioli, su Piovono Rane, ha parlato di noi».

Perché avete deciso di affidare la comunicazione proprio a un blog?
Marco: «Abbiamo aperto il blog soprattutto per collocarci nella posizione di creatori di contenuti, perché per portare avanti una protesta statica è molto difficile pensare di potersi affidare solo ai media tradizionali: si sa, una volta data la notizia è facile dimenticarla. Abbiamo creato un filone narrativo della protesta, che si appoggiava sui diari del presidio che ci inviavano gli operai, e su articoli satirici che scrivevamo noi o articoli leggeri scritti con un linguaggio molto semplice. Le vertenze lavorative non sono di immediata comprensione quando si leggono i giornali».

Volevate quindi diventare la prima fonte di informazione riguardo le proteste dei cassaintegrati?
Marco: «Volevamo poter dare aggiornamenti al pubblico come se fosse un reality, però reale. Per questo il motto è: “l’unico reality reale, purtroppo”. Le persone si sono affezionate al blog, abbiamo dei lettori costanti, facciamo mille ingressi giornalieri e il gruppo Facebook ha raggiunto 102mila iscritti. Siamo arrivati ai giornali nazionali con un evento di mail bombing: abbiamo convinto tutti gli iscritti a mandare e-mail con un testo, scritto da noi, alle principali redazioni dei giornali: in meno di un mese sono state inviate circa 2000 e-mail ed è da lì che è partito tutto il tam tam mediatico».

Quindi avete raggiunto almeno l’obiettivo di dare visibilità alla protesta, no?
Marco: «Ora gli operai della Vinyls si trovano ancora all’Asinara e la vertenza non è stata risolta: è stato un continuo fare promesse e rinvii. Da settembre abbiamo aperto il blog ad altre proteste, sia per includere nuovi redattori che ci aiutassero a mandarlo avanti, sia per dare voce a tutte le persone che in qualche modo hanno seguito e supportato gli operai della Vinyls. Tra i lettori ci sono molti studenti, giovani, non solo sardi: la diversificazione del pubblico richiedeva in qualche modo una risposta da parte nostra e ora seguiamo le varie proteste. Ci sono redattori che sono dislocati in tutto il territorio nazionale, seguiamo realtà che vanno da Fiat al Movimento dei pastori sardi, Omsa, Agile-Eutelia. Quello che gioca un ruolo fondamentale è il contatto diretto, giornaliero e costante, con i lavoratori».

Quante sono le aziende di cui vi occupate, attualmente?

Michele: «Le aziende sono una quindicina, per alcune ci sono solo articoli per eventi isolati, altre le seguiamo da mesi. Abbiamo appena messo su una redazione con giovani studenti di comunicazione e anche qualche ex operaio per cercare di coprire il più possibile le proteste, soprattutto dei lavoratori. Però tra un paio di settimane lanceremo i “Diari dall’Aquila” per indagare anche sulla vita quotidiana della città due anni dopo».

Si è già innescato un meccanismo virtuoso tramite il quale sono i lavoratori a contattarvi oppure siete
ancora voi a cercare loro?

Michele: «Metà e metà. Noi cerchiamo i contatti tramite Facebook e a volte anche attraverso i sindacati. È ancora presto perché si inneschi il meccanismo di feedback positivo di cui parlate».

Sul vostro sito c’è scritto che avete usato Facebook in maniera rivoluzionaria. Ci spiegate in che senso?
Marco: «È la maniera inventata dal Popolo Viola. Quando era impensabile cercare di coinvolgere la gente, tramite un social network, affinché facesse qualcosa di pratico nella vita reale, noi ci siamo messi a fare azioni sociali, rivoluzionando la protesta operaia. Siamo stati i primi a raccontarla giorno per giorno. Inoltre, uniamo due generazioni: i figli combattono con i padri per diritti che cerchiamo di ottenere da trent’anni».

Facebook, blog e reality. Sono mezzi considerati superficiali, vuoti. Voi li avete riempiti di senso.
Michele: «Non è vero che cliccare non basta. Com’è stato per la Vinyls, partecipare a quel gruppo e inviare quella mail sono state azioni che hanno cambiato le sorti della protesta. L’anno scorso tramite Facebook abbiamo organizzato la festa del lavoro all’Asinara. C’erano duemila persone, una cifra pazzesca».

Il vostro progetto è sulla cassa integrazione. Visto come stanno andando le cose in IItalia, credete che
avrà mai un termine?

Michele: «Mi piacerebbe poterti dire che sì, il nostro progetto finirà assieme alla cassa integrazione. Ma l’Italia è una penisola di cassintegrati e il blog, purtroppo, andrà avanti crediamo per parecchio tempo».

Marco: «I problemi del lavoro ci saranno sempre. Molto spesso, però, nei blog si parla di “crisi” in maniera generica, mentre noi andiamo nello specifico. Abbiamo lettori di destra, leghisti, che protestano. Basta pensare ai tre operai di Melfi: ci siamo messi in contatto con loro e ci hanno rilasciato una serie di interviste, piene di notizie inedite, che stiamo pubblicando noi, perché sui giornali non trovano spazio».


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