Vertenza Cipi, via libera per lettere di licenziamento «L’azienda ha chiesto di ringraziare per gli stipendi»

«Mortificati e stanchi». È così che si sentono i 52 dipendenti dello stabilimento catanese della Cipi, l’azienda che si occupa di realizzare gadget promozionali, che a gennaio hanno ricevuto la notizia dell’avvio della procedura per il licenziamento collettivo. Oggi hanno protestato davanti alla sede nella Zona industriale di Catania dopo che, ieri, il tavolo di crisi convocato dalla Regione si è chiuso con un nulla di fatto. «Da oggi possono partire le prime lettere di licenziamento e noi le aspettiamo come un incubo», dice a MeridioNews Valeria Vittorino, serigrafa di 46 anni che lavora in azienda da oltre 18.

In sostanza, ieri l’azienda ha confermato – attraverso i consulenti Ezio Cristetti e Francesco Andronico – la linea espressa anche durante l’incontro che si è tenuto nella sede del ministero dello Sviluppo economico a Roma: dismettere lo stabilimento catanese con un atteggiamento di totale chiusura nei confronti delle proposte avanzate dai sindacati per mantenere in vista la produzione nella zona industriale etnea. «Abbiamo ancora una volta rilanciato l’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali attraverso la ricerca di soluzioni alternative – spiegano le sigle sindacali che erano presenti all’incontro – come, per esempio, la creazione di una cooperativa di lavoratori o la cessione del ramo d’azienda, grazie anche alla disponibilità mostrata sia dal ministero che dalla Regione di sostenere queste attività con la messa a disposizione di ammortizzatori sociali». Dai delegati della Cipi si sono sentiti rispondere che intendono «utilizzare queste risorse per accompagnare la struttura etnea verso la definitiva smobilitazione». 

La ditta, fondata nel capoluogo etneo nel 1964 dall’imprenditore catanese Rosario Circo, alla fine di febbraio aveva annunciato la volontà di spostare gli interessi commerciali in altri Paesi dove l’acquisto della merce e i costi di produzione si affrontano con prezzi inferiori e di mantenere attiva solo la sede commerciale che si trova a Milano. «Da allora – dichiara il segretario regionale Fistel Cisl Antonio D’Amico – da parte dell’azienda sono arrivate ai lavoratori solo false prospettive di apertura in merito alla possibilità della cassa integrazione. Ieri, infatti, hanno avanzato una richiesta impossibile da soddisfare: convocare entro il 30 marzo un incontro al ministero del Lavoro». 

I tempi sono troppo stretti, ma di fronte alla richiesta di prorogare di 15 o 20 giorni la data del licenziamento prospettato, l’azienda si è rifiutata. «Abbiamo capito che era l’ennesima presa in giro ed è ancora più grave – commenta il segretario della Fistel Cisl – che questo territorio venga saccheggiato da un imprenditore catanese. Sono arrivati addirittura a dire che i lavoratori dovrebbero ringraziarli per aver avuto lo stipendio per tanti anni». Intanto, dopo la denuncia di irregolarità nella gestione dei fondi da parte dell’azienda, i sindacati si stanno attivando per mettere insieme tutta la documentazione necessaria da mandare alla Guardia di finanza perché si facciano controlli in entrambi gli stabilimenti. 

È per questo che oggi i cancelli della sede catanese sono rimasti chiusi. «Non abbiamo più la forza fisica e morale di entrare e continuare a produrre – commenta Vittorino a nome anche dei suoi colleghi – A questo punto non ha senso provare ancora, come abbiamo fatto fino ad adesso, ad arrampicarci sugli specchi. Noi da questa vicenda ne usciamo a testa alta perché abbiamo fatto tutto quello che potevano e non ci siamo tirati indietro nemmeno davanti ai sacrifici». Dalla decurtazioni degli stipendi agli straordinari non pagati, nulla è servito per allontanare la minaccia della chiusura definitiva. Domani i lavoratori continueranno a manifestare nel centro storico «per sensibilizzare l’opinione pubblica – conclude la serigrafa – perché non è un problema che riguarda da vicino solo le 52 famiglie di noi lavoratori ma tocca tutto un territorio già estremamente martoriato». 


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I cancelli della Zona industriale sono rimasti chiusi. «Non abbiamo più la forza fisica e morale di entrare», dicono i lavoratori che protestano per la procedura oramai avviata e su cui l'imprenditore non è disponibile a trattare. Intanto i sindacati raccolgono documenti da inviare alla Guardia di finanza

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