Work in progress Ecco i nostri compagni di viaggio

È sempre per amore che si porta avanti qualunque cosa, in fin dei conti. Amore per una persona, per un’idea, per un pensiero, per un mestiere, per un progetto.

Quindi, per amore abbiamo deciso di rimetterci in gioco, quasi tre settimane fa. Ci siamo presentati, vi abbiamo spiegato che c’è qualcosa che bolle in pentola, ci abbiamo messo il cuore e la faccia.

Quello che non vi abbiamo detto, però, è che non siamo i soli a lavorare attorno a quest’idea che noi chiamiamo «giornalismo» e che ci riempie di voglia di fare, spunti ed energie. Oltre alla redazione, c’è tutto un universo di vittime designate e inconsapevoli che abbiamo incontrato lungo la nostra strada e che hanno deciso di darci una mano. Per la gloria e perché, come noi, credono in un progetto fatto da persone la cui età media è venticinque anni. Giovani sì, ma non senza esperienza.

Luca Marra è il nostro programmatore di fiducia, «anche se programmatore è sminuente», precisa. Classe 1985, per mestiere sviluppa applicazioni e da quando ha cominciato a lavorare con Unaredazionesottosfratto di una cosa è certo: «Solo giornalisti possono discutere con giornalisti, non c’è altra categoria che vorrebbe averci a che fare». Studia Ingegneria informatica a Catania, «fuori corso, ma sono in buona compagnia». Sul perché ha deciso di darci una mano non ha dubbi: «Conosco più o meno tutti i ragazzi della redazione, sono amici, li ho visti crescere a Step1 e appassionarsi a ciò che stava nascendo: un po’ di quell’enfasi l’hanno trasmessa anche a me, che ci credo come loro».

Leandro Perrotta fa un po’ il redattore e un po’ il webmaster in seconda. Blogger della prima ora ma, prima di tutto, aspirante giornalista. «Il guaio di avere tanti ruoli così diversi tra loro è che non te la puoi prendere con nessuno – dice – Di solito se una cosa non funziona bestemmi contro il tecnico, io dovrei imprecare contro me stesso». Su Unaredazionesottosfratto, poi, ha le idee chiare: «Collaboro con le persone più in gamba che io conosca, credo che si possa crescere e che si possa farlo insieme, con successo. Non potrei desiderare niente di meglio». Ventisette anni, universitario di quelli che «prima o poi mi laureo, intanto imparo il mestiere».

Simone Tornabene, infine, ha lasciato Catania quasi tre anni fa, dopo essere stato uno studente della Scuola superiore e aver conseguito la laurea specialistica in Scienze politiche. A Milano, è diventato uno dei più apprezzati head of digital d’Italia. Che in italiano significa? «Mica c’è una traduzione letterale, si dice così e basta». Da Cemit, gruppo Mondadori, a un’auletta nell’ex Monastero dei Benedettini, «perché mi piace sempre sostenere le iniziative di valore che vengono dalla Sicilia – spiega – E poi perché il mercato dell’informazione locale è in espansione, non ci sono player concorrenti, può essere un buon modello di business». In italiano? «Non faccio il giornalista».

[Foto di Martalav]


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