Corso Martiri della Libertà L’occasione sfumata del risanamento

Tra l’11 febbraio 1956 e il 16 novembre 2011 ci sono più di 55 anni. La prima è la data di concessione alla società immobiliare Istica dell’opera di sventramento del quartiere San Berillo di Catania. Il 16 novembre, invece è il giorno dell’ultimo accordo tra il Comune e i proprietari delle aree di Corso Martiri della Libertà per il risanamento definitivo del quartiere. Nel corso di questi cinque decenni non sono mancate le occasioni per intervenire e sanare la ferita nel centro storico della città. Successe, ad esempio, nel 1984, anno in cui scadevano i termini di legge previsti per il completamento del piano di ricostruzione. Una congiuntura unica di cui, però, l’amministrazione comunale non seppe usufruire. Qualche mese dopo l’Assemblea regionale siciliana prorogò i termini della concessione «scaduta». Vi proponiamo un articolo dell’architetto Giacomo Leone, pubblicato su La Sicilia il 26 febbraio 1984 che ripercorre con lucidità e amarezza quella vicenda.

Come ormai è consuetudine consolidata, L’Assemblea regionale siciliana ha profittato del periodo festaiolo e distratto di fine anno, per offrire all’Istica (istituto immobiliare catanese) un dono tutto d’oro da mettere sotto l’albero. Ai catanesi, come al solito, hanno lasciato il fumo acre dell’incenso e i poteri imbalsamatori della mirra. L’Istica, emanazione dell’Immobiliare romana, ottenne negli anni 50 la concessione per il risanamento del quartiere San Berillo che costituisce il più esteso sventramento di una città mai operato in Italia.

Decine di migliaia a di catanesi furono allontanati dalle loro case, dalle loro memorie, dalle loro tradizioni, e trasferiti in un quartiere di periferia appositamente costruito, a spese della Regione, dall’Ist – Berillo, altra emanazione dell’immobiliare. Un’operazione valutabile oggi, nel suo complesso, a circa 1000 miliardi di lire. Dopo aver trasferito gli abitanti nel nuovo quartiere e realizzato il primo tratto di Corso Sicilia (destinato prevalentemente a banche, uffici e negozi), l’Istica segnò il passo per oltre 10anni  affinché la rendita d’attesa e parassitaria si moltiplicasse. Furono così lasciate in abbandono circa 80 mila metri quadrati di aree, innestate nel fianco del centro storico, di fronte alla stazione centrale, in prossimità del porto e alla confluenza di arterie di grande traffico nelle direzioni della scogliere dei Ciclopi e di Messina da un lato, e della Plaja e di Siracusa dall’altro. Una superficie inedificabile grande quanto il giardino Bellini (unico spazio verde di Catania) a poche centinaia di metri dai punti di traffico più caotici della città: piazza Duomo, piazza Stesicoro, prefettura, università centrale, municipio, provincia, grandi magazzini, banche eccetera.

Sin dal 1969 proposi l’uso pubblico di quell’immenso patrimonio che rappresentava un’occasione unica delle grandi città italiane. Nella seconda metà degli anni 70, il gruppo comunista al consiglio comunale di Catania, guidato da Giulio Quercini – allora segretario della federazione del PCI – si batteva per un nuovo modo di amministrare e di progettare la città sociale: in quegli anni si proposero nuove norme e si imposero metodi assolutamente inediti ed esemplari per la loro originalità d’invenzione.
Ne furono oggetto gli appalti, gli incarichi professionali, l’abusivismo, gli oneri di urbanizzazione, il recupero e la salvaguardia dei quartieri, delle oasi naturali, del mare, del verde, dell’archeologia industriale, la politica dei trasporti, dei servizi e della cultura diffusa, esercitata, decentrata nei vari quartieri della città. Una cultura intesa anche come terziario produttivo, colmo di sbocchi occupazionali e  come strumento per la lotta alla droga, alla delinquenza e alla corruzione politica e burocratica. Anticipammo di anni quei temi che sarebbero divenuti poi di attualità nazionale. I comunisti riuscirono in quegli anni,  con la loro fantasia, a coinvolgere l’unanimità del Consiglio comunale, passando dai generici ordini del giorno, alle deliberazioni.

Decine di miliardi furono inseriti  in tutti i bilanci approvati (dal 1979 in avanti) per l’acquisizione di grandi strutture di interesse collettivo. Per le aree inedificate di Corso Sicilia furono impegnati dieci miliardi finalizzati alla realizzazione di una struttura polifunzionale: parcheggi per migliaia di posti macchina, verde attrezzato, luogo di incontri e di animazione, scuole, teatro, spazi all’aperto per i giovani eccetera. Fu bloccata l’approvazione del progetto per residenze di lusso, predisposto dall’Istica, che rappresenta la compromissione irreversibile di una occasione storicamente unica.

Nel frattempo scadevano i termini di legge previsti per il completamento del piano di ricostruzione e l’amministrazione comunale si ritrovò in mano l’opportunità irripetibile di trattare con l’Istica da posizione di forza. Ma l’apparente disponibilità della Dc mascherava un’altra delle sue grandi operazioni. Il Comune non intavolò trattative e non pose in essere alcun atto amministrativo attendendo che il tempo del grande inganno maturasse i suoi frutti. E così è avvenuto. Lo scorso dicembre l’Assemblea regionale siciliana, infatti, disattendendo la volontà unanime (compresa da Dc) «deliberata» dal Consiglio comunale di Catania ha prorogato i termini della concessione «scaduta» dilatandoli addirittura fino al 1988 per realizzare appena 100.000 mc. di fabbriche, che potrebbero eseguirsi in un solo anno lavorativo.

In questo modo una scelta di vitale interesse metropolitano e territoriale è stata imposta dai consiglieri regionali, sotto Natale, fra una stretta di mano e un abbraccio, nell’affrettarsi verso altre tombole. Aggiudicando un affare di ottanta miliardi, il requiem per Corso Sicilia è stato recitato. A tenere la corona e a ripetere la cantilena dei misteri dolorosi della Regione siciliana sono stati in troppi, anche gli insospettabili. Ora i catanesi potranno magari trattare, ma il manico del coltello la Dc l’ha passato alla speculazione che di manici … se ne intende certo.

Noi siciliani siamo sovraccarichi di sole e di memorie, assuefatti alle commemorazioni e allo sfruttamento, privi di certezze e di riferimenti come peraltro, tutti i cittadini della penisola ma sempre in attesa di un segno dell’avviarsi del processo di reale rinnovamento, anche all’interno delle forze politiche di sinistra. Purtroppo non siamo in tempo di rivoluzione, siamo un paese da sottosviluppo industrializzato e siamo sempre arrivati in ritardo, anche coni punks. Siamo soltanto risonanze di epoche passate e poiché queste, dai nostri giorni, si inseguono e si accavallano nello spazio di una sola generazione ci ritroviamo, senza rendercene conto, ancora tra i cavernicoli con la coda non completamente atrofizzata.

Sulla misteriosa operazione tacciono tutti. È anche questa cultura del silenzio oppure è cultura della complicità? Che la sezione siciliana dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e il dipartimento di urbanistica dell’Università osservino il «rispetto corporativo» è comprensibile, visto che gli estensori del piano urbanistico e del progetto edilizio sono membri emeriti di entrambe le istituzioni, ma gli altri? Sarebbe interessante conoscere i nomi dei «padrini» dell’iniziativa del governo regionale. Se il comune di Catania, unico legittimato a farlo, non ha avanzato richiesta di proroga della legge, chi e per conto di chi lo ha fatto? È legittimo l’atto compiuto dalla Regione siciliana? I consiglieri regionali conoscevano i fatti o sono stati ingannati? Questo chiedo ai parlamentari catanesi, nessuno escluso e, in particolare, a coloro che sedevano sui banchi del Consiglio comunale, quando si votavano all’unanimità, i bilanci che prevedevano l’acquisizione di quelle aree.
Si fanno tante interpellanze, che formularne una, per un fatto di tale gravità, potrebbe solo significare che qualcuno ha ancora rispetto per la propria dignità e che, magari insieme con le caratteristiche da dare al nuovo stemma della Regione, si può discutere, con la medesima considerazione e serietà, sul futuro della seconda città dell’isola. Ma la solidarietà collegiale, dei «regionali» è consolidata, unitaria, compatta. Catania addio!

[Foto di CittaInsieme]


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