Via Dusmet, dibattito aperto sulla pedonalizzazione «Riflettere sulle vere cause di declino dei mercati»

A rimanere incatenati alla cronaca, che si deve pur fare, gli osservatori potrebbero convincersi che i venditori di pesce della Pescheria siano gli unici nemici giurati della pedonalizzazione di via Dusmet. Come sempre, la realtà è più complessa. Quella chiusura alle auto nacque nel 2015 dall’elaborazione progettuale di 52 associazioni, guidate dall’architetta Annamaria Pace, attivista dei gruppi Salvaiciclisti, oltre che blogger di Mobilita Catania. Un’area pedonale nata dalle idee, dunque. Idee non del tutto realizzate dall’amministrazione Bianco. Al punto che – dinnanzi a una certa confusione nell’applicazione del provvedimento, descritta da MeridioNews – perfino l’architetta Pace non lesinò qualche critica. La sensazione è che ci sia ancora bisogno di idee, per uscire dallo scontro tra chi spinge per la riapertura tout court alle auto e chi, come la stessa Pace, intende la pedonalizzazione di via Dusmet come un primo passo per consacrare l’intero quartiere ai pedoni e ai ciclisti. 

«Di buone pratiche sulla pedonalizzazione delle città – spiega l’ingegnere edile e architetto Andrea Tornabene – è piena tutta l’Europa. E i benefici sono sotto gli occhi di tutti, anche dal punto di vista economico. Progettare la città per le persone non è più una scelta ma una necessità imprescindibile. Ma il punto è proprio questo: progettarla – avverte l’addetto ai lavori – con chi quello spazio deve viverlo giornalmente». Una prima parola d’ordine è dunque partecipazione. Tornabene scende ancor più nel dettaglio. «Chiudere una strada con delle transenne non basta – dice – bisogna ripensare quegli spazi dal punto di vista architettonico (con nuove pavimentazioni, arredi, alberature) e funzionale, incrementare la rete dei servizi pubblici per poter raggiungere agevolmente e velocemente le aree chiuse al traffico e pensare in maniera strategica tutta l’area, non le singole zone».

Ma cosa rispondere ai pescivendoli del mercato, che – dalla pedonalizzazione in poi – lamentano un calo nelle vendite che addirittura sfiorerebbe il 50 per cento? «Innescare un simile processo – precisa Tornabene – deve portare anche a interrogarsi su quali siano le vere cause della perdita di appeal di un mercato storico e adottare relative strategie di rinascita e innovazione». Al momento, il dibattito scattato in città non sembra aver preso questa piega. Altrove, però, le cose sono diverse. «I mercati rionali delle città spagnole – racconta Tornabene – sopravvivono benissimo, si evolvono stando al passo con i tempi e mantenendo quelle caratteristiche storiche che li rendono riconoscibili in tutto il mondo». Ed ecco un esempio concreto. «Per andare alla Boqueria di Barcellona, uno dei mercati più famosi e attivi della città – conclude l’esperto – non posso usare la macchina, devo prendere il bus o la metro, o camminare a piedi».

Poi c’è anche chi, dell’argomento del giorno, desidera non parlare. «A me quello non interessa», taglia corto Carmelo Marino, 40 anni, che fa lo chef nel ristorante di famiglia affacciato su piazza Pardo, proprio di fronte alle bancarelle che espongono il pesce fresco. Il locale di Marino porta con sé una storia di cambiamento. Il padre Lorenzo, storico macellaio 71enne del quartiere, ha occupato per decenni quella bottega con la sua attività commerciale. Otto anni fa, però, i figli hanno deciso di convertirla in una trattoria. Una trattoria di pesce. Il fratello 45enne di Carmelo, Gaetano, è capo sala. «Abbiamo visto la Pescheria cambiare molto, in peggio – ricorda Marino – Le persone vanno nei centri commerciali, non scendono più come prima, non c’è la vecchia filosofia di quartiere: recarsi al mercato del pesce per risparmiare qualcosa di soldi». 

Così, secondo il ristoratore, le abitudini che hanno contrassegnato il cuore della città stanno svanendo. «Il cittadino del quartiere era piuttosto povero – continua Carmelo Marino – a fine settimana, che so, giovedì, venerdì, veniva a fare il carico della spesa». Ma tutto questo non è accaduto per caso. «Questo effetto provocato dalle grandi catene di distribuzione – conclude Marino – si è verificato in ogni città, ma qui in Sicilia i centri commerciali sono tanti. Questo ha messo fuori equilibrio il piccolo artigiano, il macellaio, il pescivendolo». 


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