Il futuro dei giornali lo fa un catanese «Sappiamo chi legge, cosa e quando»

«Quand’ero piccolo non volevo andare all’università e mio padre ha dovuto convincermi. Poi ci ho passato dentro vent’anni». Giovanni Giuffrida, 46 anni, adesso fa il docente di Informatica alla facoltà di Scienze politiche di Catania, ma ha alle spalle la fondazione di un’azienda che, nel 2005, valeva un milione di dollari e che a dicembre 2011 ha ricevuto, in Italia, un finanziamento da due milioni e mezzo di euro. «Neodata è nata nel novembre 2003 da un’idea mia e di Tommaso Giola, un ragazzo di Varese, e si occupa di gestire e ottimizzare la pubblicità online», spiega Giuffrida.

Una laurea breve in Informatica a Pisa, poi una borsa di studio per l’università di Houston in Texas, quindi un periodo a New York e undici anni a Los Angeles: «Negli Usa ho studiato, lavorato, mi sono sposato e ho fatto due figli, ma poi sono tornato». Nel 2004, per la precisione, «con il piano di rientro dei cervelli di Letizia Moratti». Nel 2007 la sua prima ditta è stata acquisita dal gruppo statunitense Fox interactive media, «lo stesso che ha comprato MySpace», ma Neodata era già avviata. «Avevamo appena venduto il 30 per cento dell’azienda, in modo tale da arrivare ad avere abbastanza soldi per pagare 18 mesi di sviluppo». Le cose però sono andate bene un po’ prima: «Abbiamo cominciato a fatturare e a fare le prime assunzioni, anche grazie al fatto che avevamo venduto a una società milanese quotata in borsa che ci ha trovato i primi clienti».

Oggi lavorano con i più grossi gruppi editoriali d’Italia, «con Rai, Mediaset, Tiscali, Repubblica» e hanno un grande concorrente: «Doubleclick, l’azienda di gestione pubblicitaria che è stata comprata da Google due anni fa per tre miliardi di dollari». Un colosso mondiale con risorse pressoché infinite. «Ma tra noi e loro c’è la differenza che può esserci tra un sarto e Zara», continua Giuffrida. «Noi forniamo un servizio calcolato su misura sulle richieste del cliente, cosa che gli altri non fanno perché non considerano l’Italia un mercato strategico sul quale investire». E così, a poco a poco, l’idea di un catanese per posizionare la pubblicità su un sito internet e renderla più remunerativa si è fatta strada: «Abbiamo sfruttato anche il fatto che Google è visto come un competitor dai giornali italiani, per via dell’aggregazione delle notizie. Non è facile per un editore mettere nelle mani di un rivale tutti i dati sui suoi utenti e il suo traffico». Con Neodata invece non c’era nessun rischio.

«All’inizio avevamo un problema di credibilità, perché ci presentavamo senza che nessuno ci conoscesse», ricorda il professore. Poi è arrivato il primo cliente: Publitalia. Subito dopo, Seat – Pagine gialle. E il grosso era fatto. Ma è arrivata la crisi dell’editoria: «I giornali registrano cali di vendite del 20, 30 per cento e l’online non riesce ancora a compensare queste perdite». Giovanni Giuffrida snocciola i dati della lenta morte del mercato della carta stampata: «I grossi gruppi editoriali fanno il 90 per cento degli introiti dalla vendita dei giornali tradizionali, ma hanno il 60 per cento del pubblico che legge solo online». Cioè, il 10 per cento del fatturato – quello che si aggiunge al 90 per cento della carta – lo fanno su internet il 60 per cento del totale dei lettori: «Una tragedia, la situazione è nerissima, i miei numeri si riferiscono al mercato americano e sono terribili». Il futuro è un’incognita. E, come tutte le cose che non si conoscono, serve solo tempo per capirle. «Credo che sarà come per le partite di calcio a pagamento, oppure la musica che si scarica da iTunes: sono convinto che tra qualche anno pagheremo per le notizie in Rete, dobbiamo solo essere educati». L’alternativa è «accettare che i giornalisti scompaiano e immaginare un mondo dell’informazione fatto solo da blogger». Ipotesi alla quale Giuffrida non crede.

«In America è una fase di grande sperimentazione, le testate stanno cercando un modo per abituare i loro utenti al pagamento dei contenuti online». Che si tratti di far pagare gli articoli delle grandi firme, oppure di vendere pacchetti di approfondimenti non importa: «Si stanno facendo dei tentativi, prima o poi si troverà la strada». E in questo momento Neodata è in una posizione strategica: «Per capire come muoversi, adesso gli editori hanno bisogno di sapere quali lettori leggono cosa e quando, e quei dati li abbiamo noi, con una tecnologia che stiamo adeguando in fretta alle nuove esigenze». L’adeguamento passa dall’acquisto di un’azienda serba, con sede a Belgrado: «Loro stavano sviluppando quello che a noi serviva, così li abbiamo acquisiti». Adesso Neodata ha una sede a Catania, una a Belgrado, una a Milano e una a Santa Monica, in California. Per un totale di 42 dipendenti, «con un’età media tra i 27 e i 28 anni». Giovanni Giuffrida, però, ha un ruolo sempre meno operativo: «Partecipo alle scelte strategiche dell’azienda, ma ormai il mio lavoro è qui all’università», dice.

E proprio con l’università si è instaurato un rapporto virtuoso. «Almeno il 70 per cento dei dipendenti viene dall’ateneo: i colleghi docenti mi segnalano i ragazzi più in gamba, e Neodata cerca di dar loro un’occupazione». Il ponte tra le facoltà e il mondo del lavoro «è incredibilmente strategico e va incentivato». Ancora una volta, gli Usa insegnano: «Beh, se il mondo accademico qui non è in grado di inventare nulla di buono, forse farebbe bene a copiare ciò che già c’è». Altrove.

 

[Foto di Thomas Brownell]


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Giovanni Giuffrida, 46 anni, nel novembre 2003 a Los Angeles ha fondato Neodata, un'azienda che si occupa di gestire e ottimizzare la pubblicità online. Nel 2004 è tornato a Catania e da allora lavora con i più grandi gruppi editoriali italiani: Rai, Mediaset, Tiscali e L'espresso. Che gli hanno affidato tutti i loro dati più importanti. Eppure, oggi, ad occupare il suo tempo è quasi esclusivamente l'insegnamento universitario

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