Goliarda Sapienza, una vita tormentata Tra teatro, romanzi e ricerca della memoria

Nel 2005 viene pubblicato in Francia un romanzo che ottiene subito il favore entusiastico della critica che commenta: «Come al solito, l’Italia non sa riconoscere i suoi capolavori». Quel romanzo era L’arte della gioia, di una scrittrice ancora sconosciuta ma con un nome indimenticabile: Goliarda Sapienza. Nata a Catania il 10 maggio del 1924, viene registrata all’anagrafe più di un mese dopo: forse questo primo ritardo fu già presagio di un riconoscimento postumo.

I genitori sindacalisti, antifascisti, socialisti ed atei non la mandano a scuola per sottrarla alle ideologie di stampo fascista e, sin dalla tenerissima età, l’educazione le viene impartita da un precettore, dalla lettura di classici nei lunghi periodi di malattia, dall’opera dei pupi siciliani, dalle strade della Civita e dal cinema.

Si forma inizialmente come attrice teatrale frequentando l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, che però non porterà a termine: la guerra e l’esperienza della Resistenza, alla quale la Sapienza partecipa attivamente nella Brigata Vespri sotto la falsa identità di Ester Gaggegi, la porta alla ricerca di un teatro più «vero”, fondando insieme ad altri colleghi contestatari una compagnia d’avanguardia che prenderà il nome di «T. 45», vicino al metodo Stanislavskj.

Legata sentimentalmente al regista italiano Citto Maselli, intraprende anche una breve carriera nel mondo del cinema collaborando con nomi come Alessandro Blasetti, Luchino Visconti, Luigi Comencini e altri.

È tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta che, però, scopre la sua reale vocazione: la scrittura. Nel 1962, a seguito di una crisi depressiva che viene «curata» attraverso una terapia di annientamento per mezzo di elettroshock, Goliarda perde la memoria e la consapevolezza di sé: è a questo punto che decide di scrivere, ripercorrendo a ritroso la sua vita alla ricerca del bandolo di una matassa ormai confusa e ingarbugliata.

Due sono i romanzi che genererà in questi anni: Lettera aperta, incentrato sui primi anni di vita a Catania e Il filo di mezzogiorno, dedicato al cosiddetto «periodo romano» e all’analisi psicanalitica da lei sostenuta a seguito degli elettroshock.

Intanto, in lei, matura sempre più forte l’urgenza di dar vita a quella Modesta, eroina del suo L’arte della gioia, pubblicato postumo nel 2000 da Stampa Alternativa, grazie all’interessamento dello scrittore Angelo Maria Pellegrino, divenuto intanto suo marito nel 1979.

Romanzo scomodo, che parla apertamente di temi come la famiglia, la sessualità e la politica in un’epoca in cui tutti questi erano ancora argomenti tabù. Un incrocio tra un romanzo storico e un romanzo di formazione, nonché autobiografico: la sua vita e quella di chi le è stato vicino, infatti, innerva l’intera trama del testo.

La stesura de L’arte della gioia fu per Goliarda un travaglio lungo dieci anni e che le costò enorme fatica e sacrificio. Si ridusse in povertà e abbandonò tutti quegli ambienti esclusivi romani che aveva frequentato ai tempi della carriera cinematografica con Maselli.

Si macchiò anche di furto e trascorse un periodo nel carcere di Rebibbia, esperienza anche questa che le fornì innumerevoli spunti per scrivere ancora un romanzo autobiografico, L’Università di Rebibbia, oggi considerato di notevole rilevanza per gli studi di criminologia.

Golirda Sapienza trascorrerà gli ultimi anni della sua vita in ritiro a Gaeta, osservando il mare e passeggiando a lungo: morirà nel 1996, sola e senza aver mai visto la pubblicazione delle sue opere.


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