Femminicidio, assemblea per Stefania Noce A Licodia Eubea una piazza con il suo nome

«Io non sono in vendita». Stefania Noce non aveva mai fatto mistero delle sue convinzioni femministe. Questa frase, ad esempio, l’aveva scritta su un cartello bianco con cui, nel febbraio 2011, aveva partecipato ad una manifestazione tra le strade di Catania per dire no alla mercificazione del corpo delle donne. E, mentre lo stringeva in mano, sorrideva. Quest’immagine accoglieva quanti ieri pomeriggio sono intervenuti ad Ha ancora senso essere femministe!, assemblea in suo onore, nell’aula A2 del Monastero dei Benedettini. Dove, il Movimento studentesco catanese – di cui la ragazza era una militante – l’ha ricordata insieme ai contributi di tanti cittadini, studenti ed associazioni. Per chiedere pubblicamente all’ateneo di cui era studentessa (aiutati da una petizione online) di intitolarle proprio quell’aula e di conferirle, ad honorem, quella laurea in Lettere che non è riuscita a prendere.

Un momento «emozionante», dove, grazie alla presenza di rappresentanti di tante realtà femministe e civili – centro antiviolenza Thamaia, Le Voltapagina, Se non ora quando, La città felice e tante altre – insieme al ricordo, si è parlato anche di altre donne, come lei vittime non di odio, momenti di follia, raptus di gelosia o delitti passionali, ma di femminicidio. Stefania – insieme al nonno Paolo Miano – è stata assassinata a coltellate ad appena 24 anni  lo scorso 27 dicembre da Loris Gagliano. L’omicida che l’ha strappata alla vita era il suo ex fidanzato e diceva di amarla. Sono quasi 120 in Italia le donne uccise in dinamiche simili. E sono milioni quelle che ogni giorno subiscono violenze fisiche e psicologiche da fidanzati, compagni e mariti.

«Stasera – esordisce Matteo Iannitti del Msc – vogliamo ricordare Stefania come attivista e compagna di tante lotte, ma vogliamo che questa sia anche un’occasione per rilanciare un tema, quello di femminicidio e violenza di genere, oggi attuale più che mai». Che, secondo Iannitti, «non deve essere affrontato solo dal punto di vista della cronaca, ma inserito nell’agenda politica, con cui tutti i cittadini e le cittadine si devono confrontare». Per informare, raccontare e dibattere su un fenomeno che si origina dal «rapporto tra potere e violenza dentro un società, la nostra, patriarcale e sessista». E su cui, «per far cambiare le cose, sono proprio gli uomini a doversi fare delle domande, per passare da problema a soluzione», afferma chiamando in causa il genere maschile.

Un problema spesso sottovalutato da istituzioni e autorità, che però non è un fatto isolato e lontano, ma che può accadere a tutti e può riguardare da vicino ogni persona. Come nel caso di Stefania, indipendente ed emancipata, ma comunque vittima di un gesto malato. «Basta guardare il suo assassino: uno studente universitario, anche impegnato su certe tematiche», sottolinea Iannitti.

Fondamentale, secondo Gloria La Greca, giovane moderatrice dell’incontro, il ruolo dell’università di Catania, che in merito al femminicidio deve prendere una posizione ferma. Anche per Stefania Noce. «Intitolarle un’aula e darle una laurea è un atto dovuto», afferma. «Il suo nome deve essere ricordato, letto e ripetuto in un luogo come questo». Che deve contribuire a sensibilizzare sul problema, anche attraverso «un percoso di analisi e informazione, fatto anche di lezioni universitarie su educazione sentimentale e antiviolenza di genere».

Non è quindi una questione di classe sociale o ambiente, ma di cultura e mentalità. «La violenza sessista è la prova tangibile della volontà di affermazione di autorità e potere da parte del maschio», afferma Gloria La Greca. «Viviamo in una società incivile in cui la donna paga con la vita la sua libertà di scegliere», le fa eco Laura Vecchio dell’associazione antiviolenza Thamaia. «Dal 2003, a Catania, sono state più di 2mila le donne maltrattate che si sono rivolte a noi, con una media nell’ultimo anno di una ogni due giorni», sottolinea. Nessuna distinzione di età o fascia sociale per chi subisce e per chi maltratta. Numeri allarmanti, sui quali si informa poco e male. «Le violenze – continua Vecchio – nella maggior parte dei casi sono scatenate da motivi futili e banali come divergenze di opinioni. La gelosia è la causa solo nel sette per cento dei casi». E su cui a volte è proprio l’indifferenza delle autorità a scoraggiare le vittime a denunciare, perché «davanti alle forze dell’ordine, spesso le donne non si sentono credute». Quando a denunciare sono in poche e ribellarsi non è facile. «Ci vuole tanta autodeterminazione per uscire dalla spirale di violenza».

«Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome», diceva Rosa Luxemburg. Femminicidio: in una parola ci sono tutte donne vittime della violenza degli uomini. Di una cultura distorta e di una mentalità radicata e difficile da combattere. La stessa mentalità da cambiare, la stessa rivoluzione in cui Stefania credeva e per cui si impegnava, chiedendosi se avesse ancora senso essere femministe. Sì, la hanno risposto ieri. E lei lo era, a Catania, all’università e nella sua Licodia Eubea, «da cui, da militante, voleva cominciare a cambiare il mondo», ricorda Matteo Iannitti.

E proprio al sua cittadina natale, il 27 dicembre, in occasione dell’anniversario del suo assassinio, le intitolerà una piazza. Chissà se l’ateneo catanese deciderà di fare altrettanto con una delle sue aule. I suoi compagni del Msc si augurano di sì, chiedendo a docenti, studenti e ricercatori di fare altrettanto. Per fa sì che la comunità accademica faccia la sua parte. Perché, come dice emozionato Franco Barbato dell’associazione Sen (sigla con cui la ragazza amava firmare articoli e poesie) di Licodia, «sarebbe bello venire qui a Catania e trovare una bella targa dedicata a Stefania».


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