Fava, 29 anni dopo istituzioni ancora assenti La figlia Elena: «Catania è la stessa di allora»

Sembra impossibile per Catania fare dell’’anniversario dell’’omicidio di Giuseppe Fava una giornata di riflessione, anziché solo un rapido ricordo. Almeno per gran parte della città, distratta ieri, 29 anni dopo quel 5 gennaio del 1984 in cui la mafia uccise il giornalista scomodo, dalla partita tra i rossazzurri e il Torino. Alle cinque del pomeriggio, sotto la lapide in via Fava, a qualche centinaio di metri dallo stadio Massimino, c’’era un gran via vai. Ma non molti erano quelli appositamente venuti per rendere omaggio al cronista di Palazzolo Acreide. C’’erano le associazioni, i rappresentanti della rete dei Siciliani giovani, molti ragazzi e qualche consigliere comunale. Assenti, come sempre, le istituzioni cittadine. Con l’’eccezione del procuratore capo Giovanni Salvi, già presente l’’anno scorso al suo primo anno di mandato, e di alcuni suoi colleghi come l’’aggiunto Amedeo Bertone. Non si sa nemmeno quando il Comune ha fatto mettere la corona di fiori.

«Solo una volta, tanti anni fa -– spiega Elena Fava, la figlia del cronista ucciso -– ci siamo posti il problema delle istituzioni, ma ho rassicurato mio fratello Claudio perché ero convinta che il sindaco da noi non sarebbe mai venuto. L’’unico è stato Enzo Bianco ed è anche merito suo se oggi esiste via Fava». Come se il direttore de I Siciliani dovesse essere ancora confinato nella memoria di una parte. «Non si vuole capire -– sottolinea la figlia – che– Fava non era solo mio padre, ma appartiene alla storia e alla vita di Catania. Questo momento non può essere solo nostro, mi piacerebbe vedere coinvolta l’’intera città in un esercizio di memoria collettiva». Uno sforzo insito anche nell’’impegno giornalistico di Fava, diventato scomodo perché svelava, invitava a riflettere, a fare connessioni.

«E invece Catania continua ad essere la stessa di allora -– continua la figlia –- una città che accetta il compromesso e la cultura mafiosa, in cui il cittadino non si indigna pur avendone mille motivi e la società civile incontra continui ostacoli». Un concetto ribadito nel corso della serata, proseguita al centro Zo per la consegna del premio nazionale Giuseppe Fava al cronista di Repubblica Attilio Bolzoni, e nella sede di Cittàinsieme con l’’assemblea pubblica delle testate che compongono la rete de I Siciliani giovani. «A Catania -– sintetizza Adriana Laudani, avvocato di parte civile al processo Fava -– l’’esercizio del potere pubblico si è scisso dal principio di legalità, è questo il cuore della nostra crisi democratica».

Venerdì il sindaco Raffaele Stancanelli ha diffuso un comunicato per ricordare «l’’impegno per la legalità e la lotta alla criminalità organizzata di un giornalista valoroso, ucciso per mano mafiosa, che seppe coniugare il rigore informativo con quello della denunzia di tanti mali della Sicilia nell’’interesse della verità e della giustizia». «Ho avuto modo di leggerlo su La Sicilia -– replica Elena Fava -– ma io mi chiedo quando l’’ha fatto? Dove? Come? Perché non parla con noi? Forse manca il coraggio di metterci la faccia. Fava continua ad essere scomodo, allora è chiaro che si preferisce mettere una corona di fiori che non sappiamo neanche quando sia stata collocata». Chi è arrivato poco prima delle cinque per il momento di commemorazione l’’ha trovata già lì. E pare, secondo quanto riferiscono i residenti, che sia stata messa sotto la targa sin dal mattino. Subito dopo l’’arrivo di don Ciotti, il fondatore di Libera, la nipote di Fava ha aggiunto un mazzo di fiori.

La serata quindi è proseguita al centro Zo, dove si è avuta un’’anteprima dei film realizzati dal giornalista di Palazzolo che saranno proiettati il 9 e il 10 gennaio al cinema King. Il video Le opere buffe ha rapito l’’attenzione del pubblico. Realizzato da Fava nel 1978 insieme al regista Vittorio Sindoni, si tratta di una delle sei puntate sui siciliani mai mandate in onda dalla Rai, con l’’unica eccezione di Da Villalba a Palermo, trasmessa da Rai3 dopo quel 5 gennaio del 1984. Venti minuti che don Ciotti definisce «la sintesi perfetta di segni, parole vere ed immagini autentiche», una dichiarazione d’’amore alla Sicilia più povera, alle storie dei piccoli che sono testimoni delle tragedie più grandi dell’’Isola: dagli impianti industriali della costa siracusana ai paesi fantasma dell’’entroterra, svuotati dall’’emigrazione. Paesaggi, volti e rumori tenuti insieme dalla voce calda del Pippo Fava sociologo, dal suo linguaggio semplice e passionale. Che forse non badava alla dizione, ma che sapeva ritagliare squarci autentici della Sicilia più profonda e che riusciva ad aprire la mente e a parlare ai cuori dei Siciliani.


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