Iblis, la seconda stagione del processo Il teste più atteso è ancora La Causa

Seconda stagione con un unico protagonista per il processo Iblis, che indaga le presunte collusioni tra politica, imprenditoria e Cosa nostra a Catania e provincia. Il rito ordinario – uno dei diversi stralci del procedimento che coinvolge anche l’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo – prosegue dopo la pausa estiva nelle aule giudiziarie del carcere di Bicocca. Le udienze più attese sono quelle in cui al banco dei testimoni viene chiamato il collaboratore di giustizia Santo La Causa, ex esponente di spicco del clan etneo Santapaola. Una prima parte delle sue deposizioni sono già state ascoltate in aula, ma La Causa ha ancora molto da raccontare. Al contrario degli altri testi chiamati oggi, imputati nel processo connesso che fa sempre parte di Iblis ma si è invece svolto con il rito abbreviato.

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Poche parole, una formula di rito, quelle pronunciate da Agatino Verdone e Felice Naselli, assolto il primo e condannato il secondo a due anni e otto mesi per intestazione fittizia di beni. Una sentenza di primo grado, non definitiva. «Benissimo», l’asciutta risposta del presidente del tribunale. Un esito previsto, considerato il rifiuto a rispondere alle domande dei magistrati opposto anche dagli altri imputati del procedimento connesso chiamati come teste in aula nelle scorse udienze. Stamattina, molti non si sono nemmeno presentati. C’è chi come Agatino Santagati – condannato a due anni, due mesi e venti giorni per lo stesso reato di Naselli – ha inviato una lettera all’accusa: «Ha scritto di essere impegnato oggi per precedenti impegni professionali ma di non avere comunque intenzione di rispondere alle domande», riferisce in aula il pm Agata Santonocito.

Giovedì prossimo è invece attesa la seconda – e non ultima – parte della deposizione del collaboratore di giustizia Santo La Causa. Arrestato l’ultima volta nel 2009pentitosi ad aprile 2012, era considerato dai magistrati il reggente del clan etneo. «A Catania il capo dell’organizzazione Cosa nostra è Vincenzo Santapaola», rivelerà invece lui stesso. Il figlio di Nitto, «un fantasma», secondo La Causa, che «non si è fatto conoscere come tale (come capo, ndr) da tutti i componenti dell’organizzazione». Nella scorsa udienza, come riporta Dario De Luca su Sud Press, l’ex esponente della criminalità organizzata etnea ha raccontato i passaggi della sua stessa affiliazione a Cosa nostra: accompagnato dal padrino Nino Santapaola attraverso il rito della punciuta del dito. La Causa ha poi proseguito riferendo ai magistrati la sua versione delle cause che hanno portato all’omicidio di Angelo Santapaola e di Nicola Sedici, per cui è in corso un altro procedimento, sempre stralciato dal filone Iblis, davanti alla Corte d’Assise.

Dettagliati sono stati anche i racconti di La Causa sulla riorganizzazione di Cosa nostra voluta da Vincenzo Santapaola tra il 2005 e il 2009 e che aveva come capitale catanese della criminalità il quartiere Picanello. Considerato dai cittadini ormai meno a rischio di altre zone simbolo come Librino, è invece secondo il pentito quello a più alta densità mafiosa. Silenziosa, come da disposizioni del nuovo capo, Santapaola jr, anche lui imputato nel procedimento Iblis e al momento detenuto nel carcere di Rebibbia.

[Foto di Google Maps]


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