Saro Puglia, vittima della mafia o truffatore? Il paese di Linguaglossa non gli crede

Due teste di agnello sgozzate e sanguinanti, un coniglio sventrato, un rogo poco chiaro che distrugge due ettari di vigneto, un tentativo di speronamento, la morte improvvisa dei cani che sorvegliavano le cantine, il furto della sua auto e del sistema di videosorveglianza. E’ l’escalation di intimidazioni che Saro Puglia, imprenditore di vini di Linguaglossa, paese alle pendici dell’Etna, ha denunciato a partire dal 2008. Troppo. Sia per don Saro, che si dichiara perseguitato dalla mafia e in pericolo di vita, a causa delle sue denunce contro estorsori, colleghi faccendieri e politici. Sia per i cittadini di Linguaglossa che rigettano l’immagine di paese mafioso e alla versione dei fatti raccontata da Puglia non credono affatto. E a dir la verità, la fiducia nell’imprenditore latita anche in chi dovrebbe proteggerlo.

Le Cantine don Saro sono una splendida struttura circondata da venti ettari di vigneto sulla strada che collega Linguaglossa a Milo. Terra di vino, apprezzato in tutto il mondo. Una dopo l’altra lungo la provinciale, si susseguono aziende vinicole famose o a conduzione familiare. Qui, nel 2006, inizia la storia imprenditoriale di Saro Puglia, che prima svolgeva l’attività di intermediario finanziario. A fargli cambiare vita è stato il richiamo della tradizione familiare.

Cantine Don Saro, vigneto

«Mio nonno possedeva questi vigneti, poi andarono persi e io li ho riacquistati», racconta. L’anno scorso le Cantine don Saro hanno venduto più di 200mila bottiglie in Italia e all’estero. «Ma non in questa zona – sottolinea Puglia – perché gli amici mafiosi impongono ai ristoratori locali di non comprare il mio vino». Botti di rovere francese dove quest’anno sono conservati quattromila litri, per un valore approssimato di tre milioni di euro. Un patrimonio che don Saro ha paura possa essere oggetto di attentati.

Cantine Don Saro, Linguaglossa

Ma ripercorriamo la storia dall’inizio. Sette anni fa Puglia chiese aiuto alla Regione Sicilia per realizzare il suo sogno. E in un primo momento ottenne il 50 per cento del prestito richiesto. La restante parte, però, non arrivò mai. E lui dovette restituire quanto concesso inizialmente. Il motivo, secondo Puglia, è uno dei tanti aspetti poco chiari della sua storia. «Quando chiesi spiegazioni – racconta – una dottoressa mi rispose che noi siciliani chiediamo mutui per aziende che non faremo mai. Io credo di averla realizzata l’azienda, ma i funzionari che avrebbero dovuto fare il sopralluogo necessario non sono mai venuti a vederla. Adesso aspetto che sia il Tar ad esprimersi in merito». Altro fattore che non convince Puglia, è la tempistica. «Il mutuo venne revocato poco dopo la mia prima denuncia nel 2008 – sottolinea l’imprenditore – così come nello stesso periodo cominciarono a venir fuori denunce nei miei confronti da parte di soggetti con cui ebbi a che fare nella mia precedente attività di promotore finanziario». Motivo per il quale Puglia è attualmente sotto processo a Catania per i reati di calunnia, truffa e appropriazione indebita. «Ma basta ascoltare le intercettazioni per vedere che sono stati i miei estorsori a fare pressione sulle persone che mi accusano», si difende.

Per don Saro l’inizio del calvario ha un volto e un nome: il direttore della filiale di Banca Nuova a cui si rivolge per un mutuo. E’ lui a fare da intermediario con alcuni usurai. Puglia è perfettamente consapevole di chi ha di fronte, ma il prestito di 750mila euro lievita rapidamente a tassi d’interesse del 10 per cento al mese, a cui si aggiunge l’obbligo di assumere persone indicate dai malavitosi. «Non potevo andare più avanti, loro pensavano di avermi distrutto, ma decisi che era meglio correre il rischio di farmi ammazzare, ma denunciare tutto». Così don Saro fa i nomi dei suoi estorsori: Salvatore Arrabito, Giuseppe Marzà, Mario La Spina e Giovanni D’Urso. Tutti e quattro vengono rinviati a giudizio per il reato di usura, per D’Urso si aggiunge anche l’estorsione. Semplici usurai o uomini legati a Cosa nostra? D’Urso è imputato anche nel processo Iblis, sui presunti rapporti tra mafia, politica e imprenditoria nel Catanese. E Puglia decide di testimoniare ad Iblis, raccontando quanto appreso direttamente da D’Urso in uno dei loro incontri: parla di presunti voti di scambio, fa riferimento all’ex sindaco di Palagonia Fausto Fagone e all’ex governatore Raffaele Lombardo.

Ma Linguaglossa, in larga parte, gli volta le spalle e sostiene che sia solo una messinscena. Le tesi che circolano tra i cittadini sono due: Puglia con la sua denuncia ha infangato il nome del paese, dove la mafia non esiste, non è radicata. «Non c’è una consorteria mafiosa qui – affermano dalla locale stazione dei carabinieri – le relazioni della Direzione investigativa antimafia lo confermano. Siamo un’isola felice, prima di Puglia nessuno aveva mai denunciato un’estorsione». Tra le cause di questa tranquillità, secondo gli uomini dell’Arma, ci sarebbe anche «la presenza del liceo scientifico che ha alzato la media culturale delle persone rispetto ai centri limitrofi». Ancora più espliciti alcuni cittadini. «Facciamo tanto per portare un po’ di turismo qui, poi arriva il Tg1 e dice che a Linguaglossa c’è la mafia. Puglia vuole scaricare i suoi problemi sul paese». Altri invece non perdonano a don Saro il fatto che si faccia paladino della legalità, «mentre un sacco di gente aspetta da anni di essere pagata da lui per i lavori nella cantina e alcuni dipendenti non sono mai stati messi in regola». Accuse respinte con decisione da Puglia che denuncia l’isolamento anche da parte delle istituzioni. «Siamo in continuo contatto con lui – replica il sindaco Rosa Maria Alfia Vecchio – abbiamo applicato l’esenzione  dai tributi, ma ci sono ancora aspetti da chiarire e noi non possiamo sostituirci alle indagini». Mentre sull’origine del difficile rapporto tra Puglia e il resto della cittadinanza, il sindaco è convinto che «non c’entrano le denunce contro la mafia quanto piuttosto i trascorsi difficili».

Per 32 giorni l’imprenditore, che è anche presidente regionale dell’associazione antiracket I cittadini contro le mafie e la corruzione, è rimasto in sciopero della fame per dare forza alle sue richieste: la concessione di una scorta, l’accesso al fondo nazionale per le vittime dell’usura e la vigilanza dell’azienda. Istanze ancora senza risposta, congelate in attesa che il processo a suo carico arrivi ad una conclusione. Nei giorni scorsi il presidente della Regione Rosario Crocetta lo ha incontrato. «Mi ha mostrato sincera disponibilità e sensibilità. E non posso che sentirmi rasserenato. Non è stato un colloquio con un politico, ma un incontro umano, consapevole e inteligente». Ma l’amarezza resta. «Da anni ricevo promesse e adesso non ce la faccio più – si sfoga don Saro – Dopo le ultime vessazioni mi aspettavo almeno una parola di conforto dal prefetto, ma evidentemente noi testimoni di giustizia non siamo persone degne di essere ricevute dai rappresentanti di questo Stato».


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