Processo Noce, ergastolo per Loris Gagliano Secondo il giudice è omicidio premeditato

È arrivata intorno alle 10.30 di stamattina la sentenza di primo grado per l’omicidio di Stefania Noce, 24 anni, e del nonno di lei, Paolo Miano, 71 anni, avvenuto il 27 dicembre del 2011 in via Cairoli 5 a Licodia Eubea, in provincia di Catania. Il giudice monocratico del tribunale di Caltagirone, Marcello Gennaro, ha condannato Loris Gagliano, 26 anni, all’ergastolo, confermando la premeditazione dell’assassinio, come richiesto dagli avvocati della famiglia Noce e delle parti civili, e dal pubblico ministero calatino Anna Andreatta. Nella sentenza non si nomina l’isolamento, non concesso dal giudice poiché il processo si è svolto con rito abbreviato. Modalità, quest’ultima, che prevede una riduzione della pena.

La zia e la mamma di Stefania

«Finalmente, finalmente». Rosetta Miano, madre di Stefania, all’apertura delle porte dell’aula – l’udienza si è svolta a porte chiuse – scoppia in lacrime. «Quando il giudice ha letto la sua decisione io ero così confusa che non ho capito cosa stesse dicendo – spiega – Mi pareva che avesse escluso la premeditazione, poi per fortuna mi sbagliavo». In realtà, una premeditazione è stata realmente esclusa. «Quella per il tentato omicidio ai danni di Gaetana Ballirò, nonna della ragazza e moglie di Paolo Miano», puntualizza Alfredo Scozzarella, dello studio Trantino, uno dei legali dei genitori di Stefania.

La mattina del 27 dicembre, quando Loris Gagliano è entrato nella casa in cui Stefania viveva insieme ai nonni e alla madre, a tentare di difendere la ragazza dalle coltellate è intervenuto prima l’anziano parente, poi la nonna. Unica superstite, nonché persona che ha lanciato l’allarme. «Abbiamo sempre sostenuto che era nelle intenzioni di Gagliano uccidere chiunque si fosse frapposto tra lui e il suo obiettivo, Stefania, ma la signora Ballirò è intervenuta in un secondo momento e il giudice ha ritenuto che nel suo caso non esistesse premeditazione», sostiene Scozzarella.

Su Stefania e il nonno, però, i dubbi non c’erano. Troppi elementi hanno fatto supporre che l’assassinio fosse stato a lungo programmato. Sia quelli noti sin dalle prime battute delle indagini, come gli appostamenti con una balestra in una casa diroccata, senza porte né infissi, a 12 metri dal portone d’ingresso di casa Noce. O come la presenza di alcuni coltelli a serramanico e di una katana nella Ford Ka con la quale Gagliano si è dato alla fuga e in cui è stato ritrovato a Marina di Acate. In stato confusionale, coi vestiti ancora zuppi di sangue, dopo aver collegato con un tubo di gomma lo scarico dell’auto e l’abitacolo. «Forse ho colpito Stefania con un coltello», aveva detto in quell’occasione il ragazzo ai carabinieri della compagnia di Vittoria che lo hanno arrestato.

«Ma c’era molto altro», aggiunge Pina Ferraro, del centro antiviolenza Thamaia, consulente di parte nominata da Rosetta Miano e Giovanni Noce, padre della vittima. «Le scarpe di Gagliano erano pulite, è stato attento a non calpestare il sangue, anche se in quella casa era tutto imbrattato», prosegue Ferraro. E poi quella pagina web che Gagliano aveva visitato alcuni mesi prima, quando ancora frequentava la casa da studentessa fuori sede di Stefania, a Catania, ateneo nel quale studiava alla facoltà di Lettere e Filosofia. «Come sgozzare la mia fidanzata» era il titolo del sito internet che Gagliano era stato scoperto consultare. «Le coinquiline di Stefania hanno raccontato che è stato quello il momento in cui Stefania ha cominciato ad avere paura di Loris – dice Pina Ferraro – Anche se, quando gli ha chiesto spiegazioni, lui le ha risposto che si stava documentando per i suoi studi in Psicologia». «La coltellata che ha ucciso Stefania è quella che l’ha raggiunta alla carotide, è il modus operandi tipico dello sgozzamento», interviene l’avvocato Scozzarella. Che puntualizza: «Per il nonno, invece, le ferite inferte erano quelle tipiche dello scannamento». E il referto del medico legale lo conferma.

Gaetana Ballirò, sopravvissuta all’omicida, porta ancora i segni dei colpi subiti. Uno all’occhio, un altro al torace, poi ancora alla spalla. «Un po’ di giustizia – commenta – Sono veramente troppo stanca». «Nessuno ci restituirà Stefania, ma torniamo a casa con un grosso peso che va via dal cuore», gioiscono parenti e amici, fuori dall’aula del tribunale. E gioisce anche Pina Ferraro, che il centro antiviolenza Thamaia – che lavora con e per le donne – ha contribuito a fondarlo: «Una sentenza così ci fa ben sperare che finalmente, anche nelle aule di tribunale, si comincino a chiamare le cose con il loro nome. Quello di Stefania è stato, a tutti gli effetti, un femminicidio». E se il giudice Marcello Gennaro lo scriverà nelle motivazioni – che saranno depositate tra novanta giorni – «sarà una svolta storica».

Intanto, nel primo atto dispositivo scritto dal giudice, Loris Gagliano viene condannato al pagamento delle spese processuali e a un risarcimento dei danni nei confronti di tutte le parti civili – Rosetta Miano, Giovanni Noce, Gaetana Ballirò, Sebastiana Montalto (nonna paterna di Stefania), il Comune di Licodia Eubea e il centro Thamaia – per un totale di 230.980 euro.


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