Mancate voi studenti!

Gentile Redazione di Step1,

vorrei proporre alcune precisazioni in relazione agli interventi di M. Grasso (“Centinaia di facoltà, ma non tutte”) e di S. Angemi.

Ho appena inviato alla Vostra redazione il comunicato con cui la Conferenza Nazionale dei Presidi di Facoltà (ovvero l’organo che rappresenta tutte le Facoltà di tutti gli Atenei italiani) prende posizione – per l’ennesima volta – sulla riforma Moratti. La Conferenza Nazionale dei Presidi chiede il ritiro immediato della legge e denuncia il rischio (più che un rischio, una certezza) che l’anno prossimo – se approvata la legge – moltissimi corsi di laurea non potranno essere attivati (unendosi così a CUN, Crui, etc…).

Gentile Grasso, dobbiamo intenderci e capirci, se non vogliamo attaccarci a sofismi ed arguzie. La protesta ha raggiunto il massimo di adesione in tutta Italia. Le proiezioni delle associazioni e dei coordinamenti parlano di una protesta che tocca non meno del 90% della docenza italiana. E’ una cifra enorme, accettata  anche da associazioni sindacali tradizionalmente di destra (e dunque, forse, una stima per difetto).

E’ una cifra enorme, anche considerando il fatto che la docenza universitaria è – storicamente e per sua natura – poco “sindacalizzata”. Poche volte l’Università italiana ha raggiunto una tale coesione. Perchè, allora, mi direte, il governo va avanti lo stesso?

Il governo va avanti lo stesso perché l’Università è un segmento fondamentale eppure numericamente esiguo della nostra società, per numero di “impiegati”. Va avanti perché una piccola parte – un gruppo di ordinari, in special modo, alcuni guarda caso anche deputati e senatori della Repubblica – crede di potere “comandare meglio” con una tale riforma, scegliendo della vita e della morte della nuove generazioni di ricercatori (la riforma dà un potere enorme agli ordinari, ma indebolisce tragicamente l’Università nel suo complesso). Va avanti perché l’Università paga una immagine pessima agli occhi della società. Qui mi permetto un (breve) aneddoto. Alcuni anni fa – presidente il prof. Modica – la CRUI (Conferenza nazionale dei Rettori) commissionò un sondaggio sulla “percezione” dell’Università nella società italiana. Risposta: per la maggior parte degli intervistati l’Università era un luogo in cui impera la corruzione, si guadagna molto, si lavora poco, etc… Le responsabilità di tale percezione sono dell’Università stessa, della sua chiusura e della sua incomprensibilità rispetto alla società, della sua tradizionale poca trasparenza. Per queste ragioni, la gran parte dell’Università italiana aspettava da anni una riforma: una riforma che semplificasse i sistemi di selezione e rafforzasse qualità della didattica e della ricerca; che aiutasse lo studente nel rapporto col mondo del lavoro; che mettesse il sistema in grado di competere.

La riforma Moratti, la ricetta del governo, porta le figure del mondo universitario al numero colossale (per l’Europa ed il resto del mondo) di 14 (dottorandi, incaricati, contrattisti, aggregati in 4 salse…). Questa riforma si basa sul principio del “di più a minor prezzo”. Dobbiamo scegliere: tutto il mondo “avanzato” ( scusate il termine) scommette sulla tecnologia e l’innovazione, meno l’Italia. Sforneremo disperati votati alla disoccupazione, su questo tutti sono d’accordo, purtroppo. E’ questo il nodo della questione.

Gentile Angemi,

mi spiace che lei ritenga il documento del Coordinamento la copia dei precedenti. Non lo ha letto attentamente. La riforma – questo segnaliamo da tempo – è di molto peggiorata in questi mesi. Ne abbiamo seguito le evoluzioni e di queste diamo conto nel documento del 27 giugno; un esempio tra tanti: prima si parlava di un precariato di “massimo” 15 anni (mica poco!). Adesso il precariato non ha limiti; oppure, si opera una riduzione, sostanziale, dei bilanci degli atenei (e potremmo fare, purtroppo, altri esempi).

Sono lieto di incontrarla, quando Lei ritiene. Ma qui siete voi studenti che dovete (nei vostri interessi, mi permetto di suggerire) aprire un dibattito tra voi e con i vostri rappresentanti. Noi  vi abbiamo invitato ad assemblee in cui si discuteva – principalmente – della questione studentesca; abbiamo messo piani di studio, cicli, programmi, lauree specialistiche al centro di incontri pubblici. Aspettiamo risposta. Il mio non è – lei lo sa – un atteggiamento pilatesco. Mi chiedo se può essere utile continuare a procedere con “stimoli esterni” (a proposito: mi spiace che lei dica che ci si era dimenticati di voi negli ultimi mesi; abbiamo tenuto un numero enorme di teach-in nelle lezioni. Chi frequenta lo sa. In questi teach-in abbiamo aperto anche l’Università alla “percezione” esterna, e spiegato cosa è un docente-contrattista a 400 euro al mese, un ricercatore a 1.100, quanto poco venga finanziata l’Università italiana, etc…).

Il governo va infatti avanti anche perché la riforma ha prodotto – tra le altre cose – una enorme confusione, una rottura del rapporto tra rappresentanze e studenti ed in parte anche tra docenti e studenti.

Stiamo elaborando una lettera aperta a tutti i rappresentanti degli studenti dell’Ateneo. Proporremo – ci pensano alcuni colleghi – a proiezioni e iniziative per settembre, sullo stato della ricerca in Italia, anche con qualche presenza esterna (cosa fanno i fisici, i matematici? come se la passano?). La nostra Facoltà – attraverso il Preside Pioletti – è sempre stata attenta a questi aspetti, e continuerà ad esserlo.

L’Università ed i suoi docenti non sono immuni da colpe. E’ fondamentale discutere anche di questo.

Mi permetto di dire che in tutto questo mancate voi, autonomamente, come soggetto distinto. Ciò nuoce a tutti, purtroppo.

Sono d’accordo, dunque, con Luciano Granozzi, quando propone che – a partire dai piani di studio – si discuta apertamente della vita della Facoltà. Ritengo che su questo si possa fare anche più di quello che si è fatto.

Lei evoca le differenti nostre posizioni politiche. Ma qui non è in gioco – solamente e principalmente – una collocazione politica. Il suo partito – mi devo esprimere allora così – AN, sta votando diligentemente, in tutte le sedi, in favore della legge (in Senato l’impegno del capogruppo Nania è stato diretto, posso fornire verbali d’aula).

E’ forse il caso di uscire dalle proprie appartenenze di partito e tessera e guardare ai fatti concreti. Ed ai propri ideali, che a volte confliggono con le tessere (capita). Chi rappresenta l’Università ha un dovere in tal senso. Le magliette e le squadre di appartenenza vengono dopo.

Cordialmente,

attilio scuderi


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