Iblis, nuova udienza dopo la pausa estiva Il pm: «Ecco tutti gli uomini del Calatino»

Un lungo ritardo, un cambio d’aula in corsa, la videoconferenza guasta così come il pc del testimone. Ma anche l’avvocato Rosario Pennisi che – indignato – si alza e va via e il malore dell’imputato Vincenzo Santapaola, detenuto a Rebibbia, che rinuncia a seguire il resto dell’udienza. Riprende tra i contrattempi il processo Iblis, oggi al suo primo appuntamento dopo la pausa estiva. Una ripresa che ha rischiato di trasformarsi presto in un rinvio, a causa dello sciopero degli avvocati penalisti. «Alla fine si tratta di rimandare di una settimana. Non vedo cosa ci si guadagni, si intralcia soltanto», commenta il presidente del tribunale Rosario Grasso, che annuncia anche la nuova composizione del collegio giudicante, con Alessandro Centonze in sostituzione di Riccardo Pivetti, trasferito in corte d’appello.

Così, dopo un’ora e mezza di attesa, entra in aula il maggiore del raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri etnei Lucio Arcidiacono. La sua testimonianza, durata già diverse udienze, era stata interrotta dalla pausa estiva. Al militare i pubblici ministeri Antonino Fanara Agata Santonocito chiedono di tratteggiare le figure di alcuni imputati, definiti «gli uomini del Calatino». Da Giuseppe Rindone, Angelo Carbonaro, Natale Ivan Fillocamo – nipote di Benedetto Santapaola, ritenuto vicino al presunto capo provinciale di Cosa nostra etnea Enzo Aiello – alla coppia professionale – ricorrente nei racconti dei carabinieri riguardo al territorio di PalagoniaGiovanni Buscemi, detto facci tagghiata, e Massimo Oliva, soprannominato nano e bandito.

Una carrellata di nomi, incontri e circostanze che si sofferma più su alcuni personaggi che su altri. Tra questi, c’è l’imputato Pasquale Oliva. «Detto u massaru o il ragioniere – racconta Arcidiacono – Il suo lavoro lecito è la gestione della sua attività rurale, più alcune cooperative formalmente intestate ad altri ma a lui riconducibili». Secondo gli investigatori, invece, Oliva sarebbe l’uomo di Cosa nostra catanese nel Calatino. «Durante l’indagine Dionisio, in un’intercettazione, il boss della zona Francesco La Rocca si lamentava di quando in passato Aldo Ercolano aveva ordinato a Pasquale Oliva di commettere un omicidio a Caltagirone senza la sua autorizzazione», spiega il maggiore. Compagno di detenzione di Giuseppe Ercolano, Oliva ha rapporti di parentela con altri due imputati in Iblis: consuocero del presunto boss di Ramacca Rosario Di Dio e cognato del politico locale Giuseppe Tomasello, due volte assessore alle Attività produttive del Comune di Ramacca tra il 2006 e il 2009 e consigliere comunale fino al 2010.

Oliva e Tomasello, secondo i Carabinieri, avrebbero avuto in comune diversi affari, «alcuni di chiaro interesse mafioso», dice Arcidiacono che spiega come Tomasello – che intanto, presente in aula, prende appunti – fosse il riferimento per l’organizzazione criminale in virtù del suo ruolo politico e il mediatore per appalti e finanziamenti regionali. Oliva sarebbe rimasto invece il braccio operativo, attivo – sempre secondo gli investigatori – nella ricerca di voti a favore di Fausto Fagone per le elezioni regionali del 2008 e colpevole di reati come minacce, estorsioni e partecipazione ad associazione mafiosa.

Tra i presunti imprenditori a disposizione di Cosa nostra, invece, Arcidiacono fa i nomi di Carmelo Finocchiaro Santo Massimino. Entrambi incensurati, il primo viene detto secondo i carabinieri sacro cuore di Gesù ringraziato il signore – per la sua fede e perché userebbe spesso queste frasi come intercalare -, ma soprattutto «l’assistente del boss», racconta Arcidiacono. Il riferimento è a Enzo Aiello, con cui Finocchiaro avrebbe avuto un rapporto privilegiato. Tanto che l’imprenditore, nell’ipotesi degli investigatori, avrebbe messo a disposizione le sue società agli interessi mafiosi,  «fino a far entrare Aiello tra i soci o farlo diventare il titolare di fatto, in cambio di vantaggi». Informato anche degli elementi extra-imprenditoriali dell’associazione mafiosa – come i rapporti di forza interni e gli attriti – Finocchiaro, avrebbe continuato a gestire gli affari in comune anche dopo l’arresto del presunto rappresentante provinciale.

E in buoni rapporti con il boss sarebbe stato anche Santo Massimino. Imprenditore, già presidente dell’Acireale calcio, le telecamere dei carabinieri lo immortalano in un saluto scambiato con Aiello con un bacio sulla guancia. Ma, secondo Arcidiacono, quello non sarebbe l’unico incontro con esponenti dell’associazione mafiosa a cui avrebbe preso parte Massimino: spesso al distributore di benzina di Antonino Bergamo in contrada Sferro, forse – secondo alcune fonti dei magistrati, ma senza riscontri da parte dei carabinieri – alla rivendita Bmw di contrada Jungetto e una volta in via Del Bosco, a Barriera, a casa della suocera di Enzo Aiello.

Tra un profilo e l’altro, Rosario Pennisi, legale di Finocchiaro e Massimino, è infastidito dal tono delle domande dei pubblici ministeri. E lo fa presente più volte. I pm, dal canto loro, non nascondono il nervosismo. Il tribunale invita l’avvocato a non interrompere. Fino a quando Pennisi non annuncia la sua decisione di andare via, sbattendo la porta. «Va segnalato al consiglio dell’ordine che l’avvocato Pennisi ha lasciato l’aula, abbandonando la difesa», dice in tono calmo, ma minaccioso il presidente. Intenzione lasciata cadere solo dopo l’intercessione di un collega.


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