Ecosistema urbano, dossier di Legambiente La Sicilia e Catania, ultima tra le grandi città

«Se la situazione delle città italiane è negativa, quella della Sicilia è emergenziale, nell’Isola c’è una sostanziale staticità che dura da 20 anni». Mirko Laurenti è uno degli autori del dossier Ecosistema urbano 2013 di Legambiente, in collaborazione con il Sole 24 Ore, che fotografa gli eco-risultati dei 104 capoluoghi di provincia italiani. Una classifica divisa in tre grandi categorie: città grandi, medie e piccole. Catania si piazza all’ultimo posto tra i centri con più di 200mila abitanti, in una graduatoria che vede Venezia al top, seguita, a debita distanza, da Bologna, Padova, Verona e Genova. Nelle ultime posizioni solo città del Sud: Napoli, Messina, Bari, Palermo e, proprio in fondo, il capoluogo etneo, ultimissimo in sette dei 26 indici tematici presi in considerazione, tra gli ultimi tre posti in altri sette parametri. «Non c’è da star allegri se le migliori undici città del Paese raggiungono a malapena la sufficienza (con 60/100 di punteggio) – scrivono da Legambiente – quando soltanto rispettando tutti i limiti di legge (e quindi senza nessuna performance straordinaria) il punteggio complessivo di un centro urbano sarebbe molto vicino a 100. Non c’è proprio da stare allegri perché il quadro complessivo descrive un Paese pigro, apatico, che ha smesso di credere e investire nel cambiamento».

Catania ottiene un punteggio di 25.54 su un totale di 100. La media per le grandi città è di 44.4 punti. Palermo, penultima, fa poco meglio con 26.25. Quartultima Messina con 34.21. Nella classifica dei capoluoghi di media grandezza Siracusa è ultima, in quella dei piccoli centri il fondo spetta a Caltanissetta ed Agrigento, Trapani è quarantunesima su 45, Enna trentottesima. Solo Ragusa si difende piazzandosi alla posizione numero 23, unico capoluogo siciliano che, con i suoi 44.4 punti, si avvicina alla media nazionale delle città medio-piccole che si attesta a 45. Ragusa ha anche la percentuale di raccolta differenziata più alta dei capoluoghi siciliani: il 20 per cento.

Catania è ultima per consumi di acqua, capacità di depurazione dei reflui, produzione di rifiuti urbani, tasso di motorizzazione, numero di incidenti stradali mortali, certificazioni ambientali e pianificazione e partecipazione ambientale. Il dato che fa più riflettere è che in alcuni settori dove il resto d’Italia, negli ultimi vent’anni, ha compiuto leggeri progressi, il capoluogo etneo è peggiorato: se la depurazione dei rifiuti reflui è salita nella media nazionale dal 70 al 90 per cento, a Catania è ferma al 22 per cento. Nel 1993 ogni italiano consumava mediamente 390 litri di acqua potabile al giorno per uso domestico, nel 2011 il dato è sceso a 164,5 litri. Tutto lo Stivale ha imparato a risparmiare il bene più prezioso, ad eccezione di Messina e Catania, le uniche città dove il consumo è aumentato. Ai piedi dell’Etna, in dieci anni si è passati da 216 a 230 litri d’acqua al giorno. Consumiamo troppo e male, considerando che siamo ultimi anche per dispersione nella rete idrica: il 53 per cento dell’acqua immessa nel circuito si perde. Una quantità enorme, considerato che a Milano, la più virtuosa, questa percentuale si abbatte al 14 per cento, ma anche a Napoli, a metà classifica, si arriva al 31 per cento. Discorso simile anche per l’energia elettrica per uso domestico: i catanesi ne utilizzano troppa, 1.328 Kw per abitante ogni anno, secondi solo a Roma tra le grandi città. «In Sicilia c’è una lentezza esasperante – spiega Laurenti – i sindaci non devono semplicemente fornire i dati – cosa già di per sé complicata in alcuni casi – ma devono intervenire, bisogna partire dall’attenzione che gli amministratori danno a queste tematiche, spesso considerate solo un semplice fastidio».

Le uniche notizie positive per Catania vengono dalla qualità dell’aria e dal solare termico. In quest’ultimo campo il capoluogo etneo conserva la prima posizione tra i grandi centri, con 4.8 metri quadri di pannelli installati sugli edifici comunali ogni mille abitanti (dato del 2011). Primato, in coabitazione con Messina, anche nella classifica che misura la concentrazione di ozono nell’aria, gas altamente velenoso. Solo in un giorno del 2012 sono stati superati i livelli di guardia. Catania è inoltre seconda per la presenza di biossido di azoto, derivato dal traffico automobilistico e dal riscaldamento domestico, ed è terza nella graduatoria che valuta la concentrazione delle polveri sottili. Si respira meglio rispetto alle altre grandi città italiane, ma di questo piccolo successo si deve ringraziare la natura. «E’ un indicatore che dipende molto dall’esposizione ai venti e dalla vicinanza del mare, due fattori che favoriscono il ricambio e la pulizia dell’aria», sottolinea lo studioso di Legambiente. Anche perché non si spiegherebbe altrimenti un altro triste ultimo posto, quello del tasso di motorizzazione: girano 73 auto ogni 100 abitanti, come in nessun altro capoluogo con più di 200mila abitanti. Neanche Roma fa peggio. In tutta Italia la media negli ultimi vent’anni anni è cresciuta leggermente (nel 1993 era di 60, nel 2012 si arriva a 64.4, mentre capitali come Londra, Parigi e Berlino si attestano su 32 macchine ogni 100 abitanti). Catania è passata da 69 auto al dato record attuale. «Un elevato tasso di motorizzazione privata dipende dalla mancanza di alternative: trasporti pubblici o mobilità leggera», sottolinea Laurenti. I numeri sostanziano questa affermazione. Nel capoluogo etneo negli ultimi dieci anni, il valore che misura la qualità del trasporto pubblico si è praticamente dimezzato. Se nel corso del 2003 ogni catanese ha preso in media l’autobus 120 volte, nel 2012 il dato è sceso a 63 viaggi. Una caduta libera che impressiona, soprattutto se confrontata con un caso analogo, quello di Torino. Stesso tasso di motorizzazione di Catania dieci anni fa (69 auto ogni 100 abitanti), la città della Mole è riuscita a diminuire l’uso delle auto (nel 2012 erano 60 auto ogni 100 abitanti), incrementando quello del trasporto pubblico (da 133 a 169 viaggi ogni anno per abitante). Ma in tutta Italia il sistema, scrive Legambiente, «è al palo, fermo e in generale recessione».

«In Sicilia manca una cultura delle fruizione della città in bici o a piedi, le percentuali di isole pedonali e piste ciclabili sono imbarazzanti», analizza Laurenti. Nel primo caso Catania è terzultima nella graduatoria dei grandi centri e conta 0,18 metri quadri per abitante. Esattamente la metà della media nazionale. Un passo avanti è stato fatto nel 2011, anno della pedonalizzazione di piazza Duomo e via Vittorio Emanuele, ma è ancora troppo poco. Per quanto riguarda le piste ciclabili, sono raddoppiate in Italia negli ultimi dieci anni (da 1.700 chilometri a tremila). Un confronto con l’Europa? Tre sole città, Helsinki, Stoccolma e Hannover eguagliano i 104 capoluoghi italiani messi insieme. Catania dispone di 16 chilometri di piste e si piazza undicesima in una classifica che vede ai primi tre posti le città venete Padova, Venezia e Verona. Negli ultimi due anni il capoluogo etneo è passato da un valore di 1 a 16. Eppure nessuno ha visto nuove piste: il salto in avanti dipende dal provvedimento della passata amministrazione che ha aperto alle due ruote le corsie riservate agli autobus.

Le noti dolenti continuano con il capitolo rifiuti: il capoluogo etneo è ultimo per produzione di rifiuti urbani. Nel 2012 ogni catanese ne ha prodotti 714 chili, cioè 250 chili in più di un abitante di Trieste (la più virtuosa nella classifica delle grandi città), ma anche 200 chili in più di un messinese (la città dello Stretto è seconda). Un dato in leggero calo a causa della crisi economica, ma pur sempre il peggiore d’Italia e che va a braccetto con i numeri della raccolta differenziata. Catania è terzultima tra le grandi città: nel 2012 la percentuale era all’11,7 per cento. Seguono Palermo e Messina. La media nazionale è del 39,3 per cento, ma solo nove capoluoghi italiani hanno rispettato la soglia prevista dalla legge per il 2012, cioè il 65 per cento. Tra questi non c’è nessuna delle grandi città.

Ultima menzione spetta al verde pubblico: Catania, Palermo e Messina si difendono nella classifica delle aree a verde sul totale della superficie della città. Catania è nona con 1.437 metri quadri, Palermo sesta, Messina addirittura prima con più di settemila metri quadri. Ma se si guarda al verde urbano fruibile da parte dei cittadini, il dato crolla: il capoluogo etneo è undicesimo con 7,48 metri quadri per abitante, più del doppio rispetto a Palermo, ultima in classifica, ma meno di un terzo di Verona, prima. Messina è dodicesima. A testimoniare di buone potenzialità, sfruttate con scarsissimo successo.

«La Sicilia può essere considerata un vero e proprio caso sociale – conclude Laurenti, l’autore del dossier – si fatica a permeare all’interno dell’amministrazione pubblica. Ma i sindaci devono essere più coraggiosi, fare scelte impopolari che diano risultati a lungo termine. Le scuse non reggono più e i cittadini l’hanno capito».


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