Graffiti urbani, arte o vandalismo? Anche l’università studia il writing

ROMA – Graffiti: espressione artistica o atto di vandalismo? La scelta è troppo ristretta per riuscire a spiegare un fenomeno complesso come quello del writing. Ecco perchè archeologi, architetti, storici dell’arte, giuristi, psicologi della comunicazione e filosofi del linguaggio, psicoanalisti, restauratori e perfino un paleografo hanno dato vita a una giornata di studio nell’università di Roma Tre. Il convegno riunisce competenze molto diverse ma tutte necessarie per comprendere il graffitismo urbano. Insieme a docenti ed esperti, anche i rappresentanti delle istituzioni locali, tra cui l’assessore alle politiche educative e scolastiche Maria Coscia: sotto la lente, infatti, c’è la realtà dei writers nella metropoli romana.

“Una realtà che nasce nelle periferie, dove ci sono pochi spazi e occasioni di aggregazione”, spiega Barbara Cinelli, storica dell’arte e organizzatrice del convegno. “Spesso le istituzioni sono poco presenti, non si curano dei giovani. Alcuni ragazzi considerano il writing come fosse una medicina presa senza prescrizione medica”.

La questione è più vasta di quello che sembra. Se per molti cittadini si tratta di una manifestazione “invasiva e degradante”, che quasi produce fastidio alla vista, per i writrers un murales è una forma di comunicazione personale e insieme globale. Ma è anche un atto illegale (spesso ci si appropria di supporti come muri e treni, e la cosa non è proprio lecita), trasgressivo, un gesto di autoaffermazione.

“Nella Roma degli anni Novanta i ragazzi delle periferie vedevano nel graffito la possibilità di uscire dal mondo in cui erano confinati. Per loro non era una forma d’arte: quello di approfondire lo studio dell’espressione è un passo successivo, che non tutti i writers compiono”, prosegue la professoressa Cinelli. “Si comincia con un tag, la firma, che deve girare il più possibile: è il modo per emergere dall’anonimato, per farsi riconoscere. Soltanto in seguito ci si rende conto della potenzialità del linguaggio, e qualcuno comincia a interessarsi allo studio delle lettere, dei colori, degli spazi. Allora si sviluppa lo stile, si ha la consapevolezza della propria tecnica e non si vuole più restare nel ghetto: comincia la ricerca di un ‘muro legale'”.

E’ la naturale evoluzione del writer, che passa con facilità dai graffiti sui muri alla grafica o al web design. Oppure alla storia dell’arte, come nel caso di Simone Pallotta, ex writer, che ha portato la sua esperienza al convegno (dove, in effetti, i grandi assenti erano proprio loro, i cosiddetti graffitari). Pallotta mette subito le cose in chiaro. “Il writing non nasce da un disagio, come comunemente si pensa”, spiega. “Si potrebbe dire che sia figlio piuttosto di un ‘disagio estetico’, quello dei cupi cavalcavia delle periferie, dei palazzoni grigi, dei maxi cartelloni pubblicitari. Alla base c’è il bisogno dei giovani di esprimersi in un linguaggio che sentono proprio. C’è la voglia di colorare la città, di portare l’arte in strada”. Allora i graffiti sono una forma d’arte? “Non sempre”, dice Pallotta. “Per parlare di arte ci dev’essere una ricerca stilistica, una consapevolezza linguistica. Il tag, ad esempio, è la deriva del writing, un’involuzione”.

A risentirne sono i palazzi dipinti di fresco, i monumenti storici ma anche le panchine nei parchi. E traovare una soluzione che preservi il decoro urbano o l’inquinamento visivo non sembra impresa semplice di fronte a un movimento tanto eterogeneo. Ma esperti ed ex writers sono convinti che le possibilità ci sono. “A cominciare dall’educazione, attaverso percorsi negli spazi urbani, per percepire le forme architettoniche, lo spettacolo della città”, suggerisce la Cinelli. “Oppure indirizzandoli verso l’approfondimento artistico della loro forma di comunicazione non convenzionale”. E’ d’accordo Pallotta: “Ai ragazzi bisogna fornire esempi positivi, come quello dei due writers che decoreranno la stazione romana ‘Nuovo Salario’, con tanto di autorizzazione. Servirà a renderla più accogliente. E c’è da aspettarsi che gli altri ‘graffitari’ rispetteranno quello spazio”.


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