Dasvidania Rosolini

Rosolini – «Mi manca l’Italia, ormai era diventata la mia vera casa». Sono passati due anni da quando Dimitrij, Dima per gli amici, è venuto in Italia: è uno dei numerosi bambini bielorussi che ogni estate trascorrono due mesi in Sicilia a scopo terapeutico. Gli parliamo al telefono, lui è in Bielorussia: ha 19 anni, non è più in orfanotrofio e quindi non può tornare in Italia con il progetto Puer; l’unico modo per tornare sarebbe un contratto stabile di lavoro o un permesso turistico. Ora vive in una casa famiglia e fa l’imbianchino, dopo aver frequentato la “scuola dei mestieri”. E’ un ragazzo alto, biondo, così magro che dimostra appena 15 anni, ma nei suoi occhi si può leggere tutto ciò che ha segnato la sua vita, come quella di tutti i bambini che vivono in orfanotrofio, vi leggi un’esperienza difficile da raggiungere anche a 30 anni. Come lui, anche gli altri bambini considerano la famiglia a cui vengono temporaneamente affidati come la loro vera famiglia. Sono bambini che provengono da realtà difficili, la maggior parte vive in orfanotrofio perché i genitori sono morti, sono in carcere o non ce la fanno a mantenerli economicamente.

Gli altri, quelli più fortunati, hanno una famiglia, ma si trovano in condizioni economiche di povertà estrema. Tutti partecipano all’iniziativa promossa dall’organizzazione PUER per lo stesso motivo: trascorrere del tempo in posti con aria pulita, possibilmente salmastra, per purificarsi dalle scorie nucleari che respirano quotidianamente a causa del disastro di Chernobyl del 1986.
«Il progetto Puer è nato a Roma nel 1993 grazie ad alcuni volontari della CARITAS che, l’anno precedente, avevano collaborato con una struttura che ospitava dei bambini bielorussi per permettere loro di recuperare parte delle difese immunitarie  allontanandosi dalle zone contaminate per un periodo di almeno 40 giorni – ci racconta Maria Gennaro, presidentessa della sezione Rosolini-Pachino “Luigi Giarratana” chiamata così in ricordo dell’ex presidente, che per primo si è prodigato per fare attecchire questa realtà, purtroppo scomparso nel gennaio 2004 – questi volontari pensarono poi ad un modo che permettesse di ospitare un numero maggiore di bambini: così nacque il progetto PUER, e nel febbraio 1993 furono ospitati i primi 120 bambini e 10 accompagnatori». Nel 1997 la Puer è stata eletta Ente morale – Onlus, «e oggi in Italia – continua Maria –  vengono ospitati circa 5/6 mila bambini: a Rosolini ne vengono stabilmente 40 provenienti dagli internati del comprensorio di Minsk, in particolare dall’internato di Volozin, più gli altri che di volta in volta vengono richiesti dalle nuove famiglie aderenti al progetto».

Certo, i costi sono piuttosto elevati, e pesano sulle spalle della famiglia ospitante: oltre al costo del biglietto aereo, che ammonta a 800 euro circa, bisogna pensare che i bambini arrivano in Italia sprovvisti di tutto, vengono con un solo vestito e un solo paio di scarpe, quindi la famiglia ospitante deve provvedere a rifornirli di ogni cosa.
Da un paio d’anni circa, inoltre, alcuni di questi bambini vengono in Italia anche durante il periodo natalizio, per trascorrere queste festività in una famiglia e non in orfanotrofio; ci sono alcune famiglie che vorrebbero adottare definitivamente il bambino che hanno in affidamento temporaneo, ma i tempi sono troppo lunghi e i costi troppo elevati, per non contare le resistenze del governo bielorusso che spesso e per vari motivi si oppone a queste adozioni.
Naturalmente le esperienze vissute in questi mesi dalle varie famiglie e dai bambini sono molto diverse fra loro.

«Noi abbiamo ospitato un bambino che in Bielorussia vive con la propria famiglia, e proprio per questo motivo ha faticato più degli altri ad affezionarsi a noi». Queste sono parole di Giorgio che, insieme alla moglie Maria Lucia, ha aderito al progetto PUER; «E poi Andreij – questo il nome del bambino da loro ospitato – aveva solo 6 anni, non conosceva nessuno degli altri bambini, quindi era naturale che si sentisse solo e che si chiudesse in sè stesso» dice Maria Lucia, che comunque si dichiara soddisfatta dell’esperienza. Ci sono addirittura coppie che, pur avendo già due figli, hanno ospitato due bambini, come Giuseppina e Vincenzo: «Inizialmente avevamo deciso di ospitare solo un bambino, e ci è stata affidata Julia – ci dice Vincenzo – ma poi per improvvisi problemi di salute l’anno dopo non è potuta tornare, così abbiamo ospitato un altro bambino, Alex. Tutti ci chiedevano: “Ma l’anno prossimo chi richiederete dei due?”» E sua moglie continua: «L’anno dopo, essendoci affezionati molto a tutt’e due i bambini ed essendo molto felici dell’esperienza, abbiamo deciso di ospitarli entrambi. Questo sarà l’ultimo anno che potremo ospitare Julia, perchè l’anno prossimo compirà 18 anni, mentre Alex è venuto per l’ultima volta l’anno scorso».

Anche per i bambini le esperienze sono molto diverse, ma in generale si trovano tutti molto meglio in Sicilia, sicuramente perché qui sono lontani dalle scorie nucleari che provocano danni al loro sistema immunitario rendendoli facili prede di malattie varie, ma soprattutto perché sono circondati dall’affetto di una famiglia. Il sogno di molti di loro è di vivere qua per sempre, di venire e non ripartire mai più. Una “mamma” affidataria ci racconta che il desiderio più grande della ragazza che ospita da 5 anni, Natasha, è «di continuare a studiare dopo il diploma dell’orfanotrofio, ottenere un permesso studio per imparare bene l’italiano e poi venire ad insegnare il russo in qualche università italiana». Non è un sogno facile da realizzare, ma con la buona volontà si ottiene tutto.

Naturalmente, l’attività di questa organizzazione non si limita all’ospitalità dei “bambini di Chernobyl” per i due mesi estivi, ma si estende ad altre iniziative portate avanti in Bielorussia: «la Puer – racconta Maria – finanzia alcune case famiglia, ovvero coppie di sposi che decidono di ospitare in casa loro fino a 15 ragazzi per educarli e farli crescere come se si trovassero davvero in famiglia, ha permesso di arredare confortevolmente le camere dell’orfanotrofio con comodini e armadi, ha inviato numerosi carichi umanitari (vestiti, materiale didattico etc.); inoltre, grazie all’associazione, si è potuto bonificare un terreno abbandonato che si trova dietro l’orfanotrofio, e vi è stato costruito il parco “Luigi Giarratana”, che a breve verrà inaugurato. E’ stato stretto anche un gemellaggio tra i Comune di Rosolini e quello bielorusso di Nieswis, a 100 km da Minsk, e periodicamente le due delegazioni si recano in visita nei due paesi. L’assistenza si estende anche all’ambito medico: durante il periodo di ferie estive, un’equipe di vari medici specialisti (dentisti, pediatri, oculisti etc.) si reca in alcuni villaggi bielorussi per fornire assistenza sanitaria gratuita a tutti». L’associazione, inoltre, ha adottato a distanza un minore definito “orfano sociale” perché i genitori non possono tenerlo con loro per droga o alcolismo.

Maria, commossa, ci racconta la sua storia: «era ricoverato in ospedale, non parlava con nessuno. La prima parola che ha detto è stata “mamma”, rivolta ad un’infermiera. Lei avrebbe voluto accoglierlo in famiglia, ma il suo stipendio non bastava per mantenere anche lui: l’ha potuto adottare grazie al sostegno dell’associazione, che annualmente le invia 400 euro, più che sufficienti per vivere un anno in Bielorussia».
Nonostante questo aiuto continuo, il tenore di vita in Bielorussia  è ancora molto basso, la gente non ha denaro sufficiente neanche per comprare la frutta; lo stipendio medio di un dipendente statale è di 70 euro circa, mentre i prezzi delle merci sono molto vicini a quelli che troviamo noi nei nostri negozi. «L’anno scorso, durante una visita ufficiale, siamo andati a trovare – ricorda Maria – un bambino che veniva ospitato da una signora che faceva parte della delegazione; non viveva più in orfanotrofio, ma è stato accolto in famiglia da una signora che fa la postina, quindi può in qualche modo mantenerlo. Abitano in una “dacia”, una delle caratteristiche case in legno, freddissima ed estremamente povera: il bambino, consapevole del nostro tenore di vita, era molto imbarazzato nel farci vedere la sua camera, in cui la cosa migliore, la più curata, era la valigia che gli avevamo dato qua in Italia per portare i suoi vestiti durante il viaggio. Poi la signora, felicissima per la visita, ci ha mostrato con orgoglio una capretta, che per loro è una ricchezza immensa».

C’è quindi ancora tanto da fare per aiutare queste persone, soprattutto i bambini, ma una buona parte del lavoro la sta già portando avanti la PUER, che ha in programma tanti altri progetti per migliorare le condizioni di vita di questi e di molti altri bambini, ma ha bisogno di altri aiuti e di tanti altri volontari.
«Io spero tanto che questa collaborazione tra Italia e Bielorussia continui, e che col tempo diventerà più semplice riuscire a stabilirsi definitivamente in Italia. – conclude Dima alla fine della telefonata – Per me sarà difficile tornare ma chissà, magari un giorno, grazie al progetto Puer, sarà mio figlio a venire a Rosolini e a vivere la mia stessa esperienza».


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