Quando gli Haiku sono apocrifi

La sua prima raccolta di poesie si intitola “Haiku apocrifi”, ed è uscita in italiano e in inglese con la prefazione di Fernanda Pivano. L’autore, Toni Piccini, è una vecchia conoscenza di Step1 e di Radio Zammù. Abbiamo fatto una chiacchierata con lui per capire qualcosa di più del mondo della poesia giapponese.

Toni, parliamo innanzi tutto degli haiku. Come è nato il tuo interesse per questo genere di poesia d’origine giapponese? E che cos’è un haiku?

Un haiku è una forma di poesia composta da un’unica strofa di tre righe per diciassette sillabe totali, in sequenza di 5–7–5. Nasce in Giappone nel 1600 circa; l’haiku non contiene rima e non ha titolo. Al di là della forma, la componente essenziale è che non vi sia concetto o elucubrazione mentale, in pratica l’”io pensante” di chi scrive deve essere lasciato fuori. In Giappone dicono che chiunque è in grado di scrivere un haiku, ed è sostanzialmente vero, poiché il grado di cultura di chi lo compone non è determinante. La mia definizione è: “una o due pennellate con il quadro dentro “… la sensazione attraverso l’immagine, senza ricorrere alla costruzione mentale. Una sera d’alcuni anni fa ero in un pub e vi fu un bel dialogo con la donna che faceva da cameriera: Chet Baker, Lou Reed, del buon vino bianco ed alcuni scrittori ne erano i protagonisti. Lei mi consigliò un romanzo breve: “Neve” di Maxence Fermine; leggendolo la mia attenzione venne catturata da alcuni haiku contenutivi, e sentii subito “aria di casa”.

 

Raccontaci del percorso che ha portato a compimento questo tuo libro, “Haiku Apocrifi”. Sei volato nella terra del Sol Levante per sviscerare la cultura lirica giapponese?

Prendiamo come pietra miliare l’incontro grazie a quel romanzo breve. Da tempo tendevo (dapprima inconsciamente, poi non solo) ad eliminare nelle mie poesie qualunque parola che non fosse necessaria, e ancor di più la maschera della ridondanza e delle citazioni culturali, sì da poter raggiungere una scrittura quanto più semplice possibile nella forma e fruibile tanto dal letterato quanto dall’analfabeta. L’haiku ne fu lo sbocco naturale.

Vedi, io sono convinto che, in generale, non bisogna aggiungere ma levare. Levare gli orpelli, le seduzioni visive, sonore e mentali che, oggi più che mai, ci vengono propinate per non lasciarci riflettere, per non permetterci di “sentire”, portarci via dall’essenza delle cose e renderci seguaci del “Grande Nulla”. Solo spezzando questo meccanismo potremo andare al vero valore delle cose: diciamo pure che reclamo il diritto al silenzio e alla lentezza (per poter ascoltare, capire, assaporare a fondo; la velocità è una droga che rapisce) e cerco di “costruir levando“ gli strati che, presentati come seta o lana, fanno in realtà da corazza.

 
Tornando al percorso…

Dopo tempo dedicato all’approfondimento e alla scrittura, ho avuto la fortuna di riuscire a contattare Claudio Pozzani, che visti gli haiku m’ha invitato a leggerli durante l‘undicesima edizione del Festival Internazionale di Poesia di Genova, di cui è direttore. Quindi il reading in diretta mondiale in streaming durante la giornata contro il razzismo organizzata dall’Amarc (l’associazione che riunisce le radio comunitarie di tutti i continenti), le mostre di haiga, i miei haiku usati durante performances con più forme d’arte… sino a giungere ora alla pubblicazione del libro. Il Giappone ? l’ho visto… solo in cartolina. Mi piacerebbe andarci, nella terra del Sol Levante. E’ un desiderio che sta crescendo progressivamente. Anni fa non c’avrei pensato… La vita scorre, sapessi che faccia ho fatto la prima volta che ho visto i miei versi tradotti in giapponese! Credo ciò abbia inciso sulla mia scelta di pubblicare il volume con il tutto (haiku, prefazioni e ringraziamenti) sia in italiano che in inglese… e poi tale scelta può aver contribuito al fatto che il libro è stato recensito in Giappone.

 

Quanto la lingua italiana riesce ad interpretare la musicalità e il minimalismo di un haiku?

Pur non essendo la cosa primaria, la musicalità è importante. Ritengo la lingua inglese più portata, nello specifico, in quanto a musicalità, ma credo si possano raggiungere dei buoni risultati anche con la lingua italiana. Ovviamente bisogna metterci cura, fare molta attenzione a come varia la fluidità del suono variando l’ordine delle parole, alla durezza o meno d’un iniziale, al “peso” della sillaba iniziale o finale, tanto per dare un’idea.

 

La prefazione è stata curata dalla grande Fernanda Pivano. Com’è nata questa vostra collaborazione?

E’ una persona che da tempo avrei voluto conoscere. Saputo il suo numero di telefono l’ho composto, e al mio “Buongiorno, lei non mi conosce e chiedo scusa se la disturbo, il mio nome è Toni Piccini: posso sottoporle degli haiku per avere una sua opinione?” la sua risposta è stata: “Si, me li mandi”; da lì è nata la cosa. E’ persona di un’umanità rara, abbinata ad una lettura estremamente acuta, se necessario anche “spietata”, della realtà. Mi ritengo fortunato di poterla chiamare per parlare di più cose, al di là della poesia o della letteratura.

 

Parlaci di Albalibri che produce il tuo testo.

Credo che fra l’editore e l’autore vi debba essere un rapporto di reciproca stima: è uno dei motivi per cui ho scelto Albalibri. Clirim Muca, l’editore e titolare di Albalibri, oltre a essere un bravo poeta è persona etica e coerente, che non chiede soldi per pubblicare e sceglie in base ad un criterio qualitativo. Entrambi pensiamo che sia la poesia a dover andare tra la gente (senza per questo abbassare il proprio livello qualitativo), non il contrario, e che oggi più che mai debba rifuggire l’autoreferenzialità cara alle torri d’avorio.

 

Non solo poesia: da qualche mese, infatti, sei speaker nel palinsesto di Radio Zammù con il programma d’approfondimento rock “Velluto Sporco”. Raccontaci l’esperienza..

Se ci penso mi sembra una fiaba. Tutto nasce da un mio articolo su Lou Reed. Una volta pubblicato in internet, sono stato contattato da Step1 per scrivervi un articolo; guardato con cura il sito ho accettato molto volentieri. Poi, mettici che in quasi trent’anni di trasmissioni radiofoniche (è materia di cui sono stato anche docente) ho scelto di aderire a realtà dove valori primari fossero il ‘messaggio’, l’entusiasmo, la libertà, la qualità, e non il denaro (parola sempre più distante dalla qualità): così, una volta conosciuto Step1 l’approdo a Radio Zammù è stata cosa naturale e, pur se geograficamente lontano, è un piacere farne parte.

 

Hai conosciuto Catania di recente. Che impressione ti ha fatto?

Mi è piaciuta, molto, e mi dispiace d’abitare così distante (Trieste).

Al di là della bellezza del posto, ho apprezzato le persone; e qui non parlo solo di quelli che già conoscevo (pur se solo in voce) e in cui ho trovato un senso dell’ospitalità raro, ma di persone sconosciute con cui sono entrato in contatto quando ho voluto girare da solo, entrando in un negozio di fiori, in una libreria, fermandomi a bere uno sciroppo… Ho trovato una cortesia e una predisposizione al contatto umano non di facciata e senza invadenza, un senso del vivere sapendosi prendere il tempo necessario… Ovvio che poi chi ci vive conosce ben più cose e realtà locali, ma a me è piaciuta proprio tanto, e spero di tornarci presto. E con quest’augurio termino, ringraziando te per l’attenzione e chi avrà letto l’intervista per la pazienza d’esser arrivato fino all’ultima riga.


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