Rosa Balistreri: la «voce della Sicilia»

“Quannu moru fati finta ca nun moru”, diceva Rosa. E così Carmen Consoli, in collaborazione con Angelo Scandurra, il prof. Sebastiano Gesù e il nipote di Rosa Balistreri, Luca Torregrossa, ha deciso di far rivivere, attraverso le foto, i manoscritti, i libri, gli abiti, gli oggetti personali, i dischi e i testi teatrali, la figura della cantautrice siciliana, in una mostra allestita presso il Refettorio Piccolo dei Benedettini,  visitabile dal 29 maggio al 20 giugno.

Ma chi era Rosa Balistreri? Nata a Licata nel 1928, “è venuta al mondo in tempi di abusi e di fame, ha vissuto una vita travagliata e molte volte infelice, un matrimonio senza amore come tante donne del suo tempo. Ma aveva riversato nel canto la sua disperazione e la sua speranza, la sua protesta e il suo entusiasmo”.
Molti che l’hanno conosciuta ricordano ancora come percorresse le strade del paese cantando a squarciagola. A sedici anni viene data in sposa a un uomo geloso, violento, amante del gioco e del vino. Durante un litigio con il marito, Rosa lo aggredisce e viene arrestata. Dopo sei mesi di galera, decide di trasferirsi a Palermo con la figlia. Lì, a servizio di una famiglia nobile, viene messa incinta dal figlio dei padroni e spinta a rubare in casa loro. Viene nuovamente arrestata.
Dopo aver abortito e dopo aver subito delle molestie da parte del prete della chiesa presso cui nel frattempo aveva trovato un impiego come custode, si reca a Firenze. Il periodo fiorentino è determinante per la carriera artistica di Rosa: conosce un pittore, a cui si lega sentimentalmente e grazie a lui fa amicizia con numerosi artisti e letterati che apprezzano la sua voce. È così che incide i primi dischi e partecipa ad una serie di spettacoli teatrali, tra cui quello di Dario Fo “Ci ragiono e canto”, “La lunga notte di Medea” di Corrado Alvaro, “Le Eumenidi” e “Bambulè” di Salvo Licata. Nel frattempo gira il mondo con i suoi concerti. Torna in Sicilia dopo vent’anni per alcuni spettacoli. Muore a Palermo nel 1990 colpita da un ictus celebrale.

Nota soprattutto per la sua voce rauca, Rosa Balistreri riuscì ad esprimere i toni drammatici della Sicilia cantando la fame, l’ingiustizia, la voglia di libertà, la rabbia, facendo sì che il suo canto acquistasse una valenza sociale e politica. Dice di lei il nipote, Luca Torregrossa: “Andava per i campi a raccogliere i canti dei contadini e si è battuta per entrare nelle scuole e nelle università a far conoscere la sofferenza della povera gente”.
“Rosa era una figura all’avanguardia – ha detto la Consoli – scriveva di mafia, ha lottato contro la società che non la accettava. Solo a Firenze venne apprezzata come artista e oggi unanimemente riconosciuta come una delle maggiori esponenti della musica del sud nel mondo”.

La Balistreri si dedicò alla raccolta di canti, nenie, filastrocche in dialetto e si impegnò strenuamente nella difesa della cultura e della tradizioni siciliane. A questo proposito la Consoli ha dichiarato: “Il dialetto siciliano è alle origini della lingua italiana. Non a caso è facilmente capito in tutta Italia. Come diceva Fabrizio De Andrè, i vocaboli provenienti dai dialetti arricchiscono la lingua. Quindi non dobbiamo vergognarci delle nostre origini, soprattutto noi siciliani a cui viene spesso detto di non parlare in dialetto. Il dialetto fa parte del nostro patrimonio culturale e dobbiamo rispettarne la memoria”.


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