David Foster Wallace: un genio sulle tracce dell’umanità di oggi

Autore di libri bellissimi come “Considera l’aragosta”, “Una cosa divertente che non farò mai più”, “La scopa del sistema” (pubblicati rispettivamente da Einaudi, Minimum Fax e Fandango), oltre che del monumentale “Infinite Jest” e “Brevi interviste con uomini schifosi” (entrambi Einaudi), David Foster Wallace è stato talvolta accostato a Jorge Luis Borges. La sua fantasmagorica e visionaria profondità di immaginazione e lo stare a suo agio tra linguaggi e argomenti molteplici e complessi ricordano, in effetti, l’enciclopedismo caleidoscopico dello scrittore argentino. Ma se Borges naviga tra le epoche e penetra il passato, anche quello più remoto, come fosse una testimonianza dell’immutabilità o forse della circolarità dei vissuti, Wallace è esattamente il “proprio tempo appreso col pensiero”. Non casualmente per lui si spreca la fastidiosa etichetta di “postmoderno”, che lo stesso interessato confessava di non capire a pieno. La lucidità del suo sguardo ne fa un vero entomologo della contemporaneità americana. Si rileggano i saggi contenuti in “Considera l’aragosta”: “Il figlio grosso e rosso”, dove indaga l’industria del porno made in Usa, colta nell’ufficialità dell’assegnazione di quelli che sono i suoi Oscar; o “Forza Simba”, in cui segue, per la rivista Rolling Stones, la campagna per le primarie del candidato conservatore, John McCain, sconfitto poi da George Bush; oppure ancora il testo che dà il titolo all’intero volume, una riflessione acuta e circostanziata di bioetica animalista, per nulla faziosa o militante, ma improntata al più rigoroso e conseguente antidogmatismo.

Nel folgorante “Una cosa divertente che non farò mai più”, racconta il viaggio tra i passeggeri di una crociera extralusso tra i mari dei Caraibi, incaricato dalla rivista americana Harper’s. In ogni riga, in ogni oggetto o situazione descritti, vi è una piccola epifania, il pulsante che innesca nello scrittore /viaggiatore un po’ spaesato, lampi di un’intelligenza straripante e contagiosa, espressa dall’esplosione, talora debordante, di note a piè pagina, note alle note, incidentali, divagazioni: un mondo di sottocartelle cerebrali funzionale alla ricchezza emotiva e alla sensibilità di un narratore umile e curioso, quasi positivista. Ma forse è stata la sua ipersensibilità, la sua intelligenza reattiva e solidale coi destini della contemporaneità, a condurlo al gesto estremo di togliersi la vita.

Negli interlinea dei suoi personaggi indimenticabili o delle sue trovate illuminanti, nella sua ansia di un racconto lontano dall’ironia, quanto prossimo alla dissacrazione, si può leggere l’angoscia che accompagna il riso, il doloroso rovescio della comicità più profonda. Riso e lacrime sono i poli molto vicini di un universo complesso e insieme piccolo, sintetizzano le anime e gli animi di un’umanità ora frettolosa e consumistica, ora divertita e disillusa. Le sue opere sono una traccia irrinunciabile per quanti vogliano provare a decifrare i nostri giorni.
Addio Dave.


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