Il regista Luca Guadagnino e l’attore Primo Reggiani in conferenza stampa

Alla conferenza stampa di presentazione del film “Melissa P.” erano presenti il regista Luca Guadagnino e l’attore Primo Reggiani.

Luca Guadagnino, com’è nato questo progetto?
Francesca Neri ha acquistato i diritti del libro prima ancora che questo diventasse un best sellers. Perché ne era rimasta profondamente colpita ed entusiasta. Otto mesi dopo ci incontrammo, i miei precedenti lavori avevano suscitato entusiasmo in Francesca e lei, riporto testualmente le sue parole, “cercava qualcuno che avesse uno sguardo imprevedibile rispetto al modo di fare cinema in Italia“. Una cosa sui cui io e Francesca ci siamo subito intesi sulla trasformazione del libro in film è stata quella di eliminare l’episodicità e la frammentarietà proprie del libro, che è un diario, e di trasformarlo in una sorta di storia più classica che permettesse allo spettatore di seguire le avventure sessuali della protagonista immergendo queste vicende dentro un coerente filo narrativo che fosse anche una struttura di giustificazione di questi incontri sessuali. Essendo una adolescente la protagonista del nostro film la compattezza è derivata dal trasformare questo diario in un anno della vita di una ragazzina di 16 anni e nell’evoluzione che questo anno produce nella personalità di chi da bambina si trasforma in una giovane donna.
La sceneggiatura l’ho scritta assieme a due scrittrici di enorme valore, Cristina Farina, che è anche autrice televisiva, ma soprattutto Barbara Alberti, nota come cattiva maestra del femminile avendo scritto dei libri meravigliosi su questi temi e avendo scritto tra l’altro “Il portiere di notte”. L’anno scorso di questi tempi c’è stato l’incontro con la Sony Pictures che ha letto la sceneggiatura e l’ha amata immediatamente, il che mi fa onore perché quando uno legge un copione e lo ama vuol dire che si è fatto veramente un buon lavoro. Abbiamo quindi cominciato le riprese a febbraio di quest’anno e abbiamo terminato a fine aprile, lo abbiamo montato e il film è arrivato nelle sale caldo di moviola perché siamo arrivati nelle sale venerdì 18 e abbiamo chiuso la copia il giovedì della settimana precedente.

Come mai la scelta di girare a Lecce invece che a Catania, dove il libro è ambientato?
Per un duplice motivo. Da un lato non è che il libro si distingua particolarmente per raccontare una città, viene nominata mezza volta via Etnea e manco descritta, quindi se sei di Catania e vedi scritto via Etnea te la figuri, ma se non lo sei e leggi via Etnea per te può essere una via qualunque, larga, stretta, piccola, grande. Rispetto al libro, che comunque per noi è una fonte di ispirazione libera, comunque non c’era quell’esigenza di rispetto dei luoghi perché la narrazione non si sviluppa attraverso il tessuto della città. Ma in particolar modo io desideravo che questo film, raccontando la trasformazione di una adolescente ed essendo meno morbosamente legato allo scandalo e più vicino invece ad una idea di crescita di una adolescente, a me interessava raccontare qualcosa di molto solare anche semplicemente a livello di colore e di muri. Catania, lo sappiamo, è molto scura essendo costruita con materiale anche lavico, i palazzi sono più scuri delle altre città. Ho preferito quindi scenograficamente cercare degli sfondi più chiari e Lecce in questo senso ci è servita molto.
Volevo aggiungere che io prima di “Melissa P” e precisamente nel 2002 ho girato qui a Catania il mio film “Mundo civilizado”, che poi è andato al festival di Locarno nel 2003. Le sei settimane di riprese passate a Catania sono state le più belle della mia vita professionale.

Il personaggio di Melissa è molto diverso da quello descritto nel libro, in particolare si pone l’accento su una timidezza che invece manca nell’opera lettereraria. E allo stesso modo gli altri personaggi vengono stravolti, ad esempio Daniele nel film prende il posto dei due personaggi del libro che sono Daniele e Roberto.
Per noi era interessante raccontare una adolescente, mentre nel libro il personaggio di Melissa ha qualcosa di superomistico che a noi non interessava. Nel cinema, a mio avviso ed essendo io anche amante del cinema hollywoodiano classico, ritengo che la forza di un film sia maggiore quando si racconta di un personaggio che si trasforma. Io non credo che quanto raccontato nel libro sia inventato, ma quello che a me cineasta per la messa in scena che debbo fare risulta poco credibile  è che una ragazza di sedici anni sia già decisa a quel modo.

Tra “Mundo civilizado” e “Melissa P.” c’è un certo divario dal punto di vista stilistico, sembra quasi di assistere a due opere realizzate da due diversi autori. E lo stesso discorso si potrebbe fare prendendo a riferimento “The protagonists”.  Come si colloca “Melissa P.” nel percorso artistico di Luca Guadagnino?
Un po’ come tutti, probabilmente, sono da un certo punto di vista schizzofrenico, anche se non sono così convinto che “Melissa P” sia così diverso dai miei lavori precedenti così come non credo che “The protagonists” e “Mundo civilizado” siano poi così simili, anche se è vero che hanno qualcosa che li rende molto vicini. Io sono una persona eclettica e sono anche abbastanza curioso, quindi mi piace muovermi e guardarmi intorno. La differenza sostanziale tra “Mundo civilizado” e “Melissa P.” è che il primo è profondamente antinarrativo, cerca le cose in maniera rabdomantica, cioè che cerca di esprimere una idea sulla giovinezza facendo accadere la giovinezza davanti alla macchina da presa. Quando giravo “Mundo civilizado” dicevo sempre al mio direttore della fotografia che noi stavamo facendo un film di improvvisazione Jazz, ed infatti noi per sei settimane abbiamo preso possesso dei luoghi della città e abbiamo esplorato la città con questi protagonisti, aderendo a quello che facevano loro e non facendo fare loro quello che volevamo noi. Il contrario in “Melissa P.” dove essendoci una struttura narrativa molto solida che bisognava rispettare, abbiamo dovuto compiere una operazione inversa. Credo però che in entrambi i film ci sia una prospettiva molto precisa sulle cose del mondo e che non è banalmente realistica o banalmente artefatta  nell’uno e nell’altro caso, ma esprime un universo  a se stante. Non è che “Mundo civilizado” rispecchia la completa realtà di Catania, è un punto di vista su Catania, cosi come in “Melissa P.” non si dice che quella è l’adolescenza, ma anche qui si tratta di un punto di vista sull’adolescenza.

Primo Reggiani, come è stato il tuo rapporto con il personaggio di Daniele?
Io avevo già letto il libro di Melissa Panarello e lo avevo trovato molto interessante. Accolsi con grande piacere il fatto di essere stato chiamato ad un provino per il ruolo di Daniele nel film che sarebbe stato tratto dal libro, solo che all’epoca ero impegnato nelle riprese di “Grandi domani” e non se fece nulla. Fortunatamente sei mesi dopo non avevano ancora trovato chi potesse impersonare Daniele e così finalmente feci questo provino ed ebbi la fortuna di farlo proprio con Maria Valverde, che già era stata scelta per il ruolo di Melissa e che è una professionista davvero eccezionale che riesce a farti rendere meglio nel tuo lavoro. Se non mi sbaglio fui lei a decidere. (Interviene Guadagnino) finito il provino mi disse subito: è lui! E’ vero, Maria Valverde è stata la prima sostenitrice di Primo Reggiani.
(Primo Reggiani) Nel cast, nel ruolo di Armando, c’è Elio Germano, che assieme a Luca mi ha aiutato molto a calarmi nei panni di Daniele. Il personaggio di Daniele è un po’ ambiguo, vive all’ombra di Arnaldo perché cerca di piacergli e forse tra le righe può anche leggersi una latente omosessualità.
(Interviene Luca Guadagnino) Assieme ad Elio Germano e Primo Reggiani abbiamo guardato i film di Hitchcock “Nodo alla gola” e “Delitto per delitto”  e per me era importante che esprimessero più che un realistico modo di essere dei giovani d’oggi anche ricchi, quell’aplomb tipicamente britannico di quei personaggi costruiti nell’ambiguità più assoluta. Ed è un aspetto interessante perché nel mio film questa ambiguità andava a scontrarsi con la fragilità e con il desiderio che aveva Melissa per quell’universo.

Luca Guadagnino, i ruoli di Daniele e Arnaldo sono stati scritti pensando ai due attori che li avrebbero interpretati?
Per quanto riguarda Elio Germano, lui è un mio amico ed è un attore che io stimo immensamente. Avevamo già lavorato assieme a teatro, ma io lo notai già nel film di Vanzina “Il cielo in una stanza” in cui faceva il padre di Gabriele Maimetti che tornava indietro nel tempo, e lì lui aveva appena diciotto anni. Elio è una sorta di veterano e pur avendo venticinque anni ha già fatto venti film. E’ un talento mostruoso a tal punto che mi mette anche un po’ di soggezione. Ricordo che gli chiamai appositamente chiedendogli se voleva fare una piccola parte in questo film e quella effettivamente fu scritta su di lui.
Riguardo a Primo, l’ho imparato a conoscere mentre facevo il casting anche se poi quando lo incontrai mi colpì subito.
Io penso che il cinema italiano ha delle bellissime personalità di attori. Uno dei più grandi errori del sistema produttivo italiano è quello di inseguire un divismo che non esiste, perché penso che i giovani siano tutti uguali rispetto alle possibilità che hanno di attrarre il pubblico ed invece finisce che si danno i ruoli sempre ai soliti noti rischiando anche delle brutte figure, come quando prendi degli attori di ventotto anni per fargli fare un ventenne perché un ventenne non lo vuoi prendere perché non è famoso! In Italia c’è veramente un bacino di attori magnifico e posso dirlo avendo fatto centinaia di provini per questo film.

Che valori vuole trasmettere il film?
Io volevo che il racconto di una adolescente e del suo rapporto con il sesso funzionasse per raccontare l’universalità della condizione degli adolescenti e questa loro incapacità di capire cosa sono e dove sono. Il film, nel suo essere isolato, in realtà vuole essere universale sia per gli adolescenti che lo stanno guardando sia per quelli che lo sono già stati. Alla fine c’è il compimento di un tragitto quasi inevitabile che passa da un momento drammatico perché quando Melissa si butta dalla rupe c’è quasi la sensazione che lei potrebbe morire, scelta che non abbiamo avallato perché sarebbe stata troppo moralistica. Il finale è più incentrato sulla forza del discorso “matrilineare“, cioè della forza che c’è nel femminile. Poi non sappiamo Melissa cosa farà dopo, probabilmente non crollerà più in un universo di manipolazione di se stessa e di noia e frustrazione. L’importante è che Melissa capisca di essere un individuo ed infatti la canzone che Elisa ha composto per il film finisce con un inno, “non c’è niente di sbagliato ad essere un cigno, vai ragazza vai”. Quindi, sii forte e individuale e ritieni in te il fondamentale dialogo con le persone che ti comprendono.

Melissa Panarello si è dissociata dal film, cosa ne pensi?
Io ho incontrato due volte la Panarello ed in entrambi i casi si è trattato di rapporti di cortesia e di etichetta che normalmente si hanno quando c’è un regista che sta realizzando un film tratto da un libro di uno scrittore vivente. Ma da quando io sono entrato nel progetto ho subito avuto le idee ben chiare nel ritenere che le due cose dovessero rimanere assolutamente separate. Quando abbiamo cominciato le riprese e sui giornali ho letto che lei si era scagliata contro di noi, io ero talmente concentrato sul film che mi sembrava che quello che avevo letto riguardasse qualcun altro. Io mi auguro che Melissa veda il film  e, anche se non lo ammetta, che il film gli piaccia e le auguro che da “L’odore del tuo respiro” traggano un film di cui lei sia più contenta.

E’ vero che originariamente Melissa Panarello avrebbe dovuto far parte degli autori della sceneggiatura?
No, è una leggenda metropolitana, come quella in base alla quale avrebbe dovuto interpretare il personaggio.
Veramente non vi ha sfiorato l’idea di averla come protagonista?
Sinceramente no. Per quanto interessanti siano i crossover, ritengo molto importante affidarsi ai professionisti o comunque a coloro che hanno un talento.


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