Regionali, è scontro frontale tra Fava e Musumeci «Presidente dimezzato». Replica: «Vive di rendita»

Si accende lo scontro tra Claudio Fava e Nello Musumeci. Il presidente della commissione regionale Antimafia, che venerdì ha aperto ufficialmente la propria campagna elettorale in vista delle primarie del centrosinistra e sperando di poter essere il candidato che i siciliani troveranno sulla scheda elettorale in autunno, ha profondamente criticato le ultime scelte del presidente della Regione. Nello specifico i recenti contatti avuti con Totò Cuffaro e Marcello Dell’Ultri. «Non sono d’accordo con i toni di questo corretto perbenista, e a tratti stucchevole, che se la prende con i pregiudicati per mafia, rei – dopo aver scontato interamente e dignitosamente la loro pena – d’avere ancora voglia di parlare di politica – ha scritto Fava su Facebook -. Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono stati condannati all’esilio, alla gogna civile o all’obbligo perpetuo del silenzio ma alla galera. L’hanno scontata e – pena accessoria – non potranno più né votare né essere eletti. Ma conservano il pieno diritto (come osserva il professor Fiandaca) di dire quello che pensano. Meno comodo è prendersela con chi è andato a cercarli, a richiederne benedizioni e raccomandazioni elettorali: ed infatti sui questuanti eccellenti tacciono tutti, compresi i columnist della nobile stampa antimafiosa».

Il riferimento è diretto al capo del governo regionale, che nella passata legislatura svolse il ruolo di capo dell’Antimafia regionale, che dal 2017 ha assunto Fava. «Una decina di giorni fa c’è stato un incontro all’hotel delle Palme – è andato avanti l’aspirante candidato alle Regionali -. Il presidente della Regione Siciliana Musumeci è andato in udienza da Dell’Utri, che lo ha benevolmente accolto; Musumeci ha chiesto un’intercessione con Berlusconi per la propria ricandidatura e il suddetto Dell’Utri gliel’ha concessa passandogli al telefono il Cavaliere. A causa di questo siparietto palermitano, la pubblica riprovazione s’è rovesciata solo su Dell’Utri mentre il Musumeci, furbo e muto, ha provato a farla franca». L’affondo di Fava è proseguito: «Io la penso esattamente all’opposto, e pazienza per gli irriducibili del moralismo antimafioso che la prenderanno male: ovvero, per me Dell’Utri può parlare con chi vuole, è un suo diritto. Il presidente della Regione Siciliana, lui no – ha incalzato Fava – non può parlare con chi vuole: soprattutto se il suo interlocutore è un condannato in via definitiva per mafia. Avergli chiesto un’intercessione, un favore, un’apertura di credito politico su Roma ne fa, subito, un presidente dimezzato, un candidato compromesso, un uomo di parte. E della parte sbagliata. Sono d’accordo anche con il giudice Morvillo. Musumeci si tenga lontano, il 23 maggio e il 19 luglio, da chi ricorda i nostri morti. Se frequenti i condannati per mafia non hai titolo per frequentare il ricordo delle vittime di mafia. Provare – conclude Fava – a fare l’una e l’altra cosa è solo una bestemmia. Delle peggiori».

In tarda mattinata è arrivata la dura replica di Musumeci. «Quando la mafia tentava un attentato contro di me, per aver revocato un appalto miliardario, il deputato Fava si limitava a commemorare suo padre, al cui ricordo mi sono sempre unito in ogni occasione, ben prima di assumere ruolo di governo locale – ha detto Musumeci -. L’insulso perbenismo di questo personaggio, invece, è una violenza alla Costituzione e alla moralità pubblica. Si dovrebbe vergognare perché è un parolaio che vive di rendita e cerca ogni giorno un titolo di giornale, mentre da candidato alla presidenza non ha avuto neppure la buona creanza di dimettersi da presidente dell’Antimafia regionale, come invece feci io nel 2017». Il presidente della Regione ha poi aggiunto: «L’unica cosa davvero stucchevole è il moralismo di chi si offre, come candidato presidente, agli eredi di quel sistema antimafioso che ha guidato la Sicilia e che oggi cerca di farsi vivo di nuovo, magari sotto mentite spoglie. Ma con me Fava cade male: con me in Sicilia è tornata la moralità nelle istituzioni, rese impermeabili a padrini e padroni, di qualunque colore. Se ne faccia una ragione».


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