Parla la moglie dell’orafo in carcere per avere ucciso rapinatori «Vivevamo di lavoro ma adesso la nostra vita è stata distrutta»

Una «vita distrutta» e la speranza che la petizione «possa arrivare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alla ministra della Giustizia Marta Cartabia». È questo a spingere tutte le azioni di Maria Angela Di Stefano, la moglie di Guido Gianni. L’orafo che dal 28 maggio si trova dietro le sbarre con una condanna definitiva a quasi 13 anni per duplice omicidio e tentato omicidio. I fatti risalgono al 18 febbraio del 2008 quando un commando, vicino a personaggi orbitanti nell’ambiente mafioso, assaltò la gioielleria della coppia: la Pierre Bonnet lungo il corso principale di Nicolosi, nel Catanese. Davide Laudani e Sebastiano Catania vengono uccisi dal commerciante con una Beretta calibro 9 registrata a nome della moglie, un terzo uomo, Fabio Pappalardo, rimane ferito. 

«Eravamo una coppia dedita al lavoro – racconta Maria Angela Di Stefano a MeridioNews mentre mostra decine di ritagli di articoli su questa vicenda – La storia di mio marito è conosciuta da tutti: in questi 15 anni di processo, da uomo libero, mi è rimasto vicino. Adesso affrontiamo una situazione molto pesante. Chi dice che mio marito è uscito dal negozio per sparare afferma il falso, come ha dichiarato anche il malvivente rimasto vivo. In Italia, per fatti simili, altri esercenti sono stati assolti ma per Guido è andata diversamente». La famiglia, insieme ai propri legali, ha sempre sostenuto la tesi della legittima difesa e della momentanea impossibilità di intendere e di volere del commerciante, sconvolto per l’aggressione subita dalla moglie, alla presenza anche di un cliente, all’interno dell’attività. 

«Sono entrati in tre con delle armi in mano – continua la donna – Uno di loro mi ha puntato la pistola (poi risultata giocattolo e priva del tappo rosso, ndr) e mi hanno trascinato per i capelli dall’altro lato del bancone. In quel momento, mio marito era nel laboratorio per effettuare una riparazione. Il rapinatore mi stringeva al collo e io non riuscivo più a muovermi. Quando ho provato a reagire – continua – mi hanno colpito in testa e sono svenuta. Ricordo benissimo che Guido piangeva». I primi colpi, quando era ancora chiuso nel laboratorio, il gioielliere li spara in aria. Sono momenti concitati con una doppia colluttazione e Laudani che prova a scappare ma viene raggiunto dai proiettili al volto, al braccio e alla schiena. Subito dopo viene colpito Catania, fatali i colpi al torace e alla parte bassa della schiena. Unico a rimanere vivo, nonostante le ferite, è Pappalardo

«La nostra vita – continua la moglie – è stata distrutta. Mio marito era ben voluto da tutti. Mai una multa, nessun precedente penale. Abbiamo vissuto sempre insieme». Subito dopo il verdetto della Cassazione per Gianni si sono aperte le porte del carcere. A prelevarlo, nella sua abitazione, sono stati i carabinieri di Gravina di Catania. «Per quindici giorni non abbiamo saputo nemmeno in qualche carcere fosse finito – spiega la moglie – Poi abbiamo scoperto che era stato trasferito a Palermo, all’Ucciardone. Andiamo a trovarlo ogni sabato affrontando un viaggio lungo e pieno di sofferenze che comincia alle 5 di mattina». Le speranze e gli sforzi della famiglia adesso si concentrano su una petizionelanciata sulla piattaforma online Change, che ha raccolto quasi 60mila firme. Obiettivo ottenere la grazia dal presidente della Repubblica. E proprio per questo motivo stasera, in piazza Nettuno, a Catania, si terrà un evento solidale a favore del gioielliere. 


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