Etna, divieto di accesso alla valle del Bove L’ambientalista: «Un’opportunità mancata»

Non resisto a certe tentazioni, soprattutto quelle legate ai contorni di una posizione. Forse è colpa di mia madre, che non ha mai imparato a tacere. E mia, di averla ascoltata per metà della mia vita. Ma tant’è. Ve la racconto così, l’ultima legge degli sceriffi dell’Etna.
Venerdì pomeriggio in un’atmosfera di urgente emergenza, viene col fiatone convocata una riunione nel palazzo dello Stato. Ci sono tutti gli sceriffi del territorio, gli scienziati riconosciuti e i santi soccorritori tinti di rosso. Tutti meno uno: non ci sono quegli uomini di un piccolo ente regionale che ha compiti di tutela della natura del vulcano, e che grazie a questo ente – e soprattutto ai suoi uomini – questo vulcano e la sua natura sono diventati lo scorso giugno Etna Sito Unesco Patrimonio dell’Umanità. Pare che il fax di adunata sia stato mandato, e pare anche che nessuno lo abbia letto dall’altra parte. Nell’era degli sms, dei cellulari che leggono email, messaggi su social network, whatsapp e varie faccine che sorridono, viene proprio difficile credere che «il cliente non è raggiungibile». Lo dico perché questo fatto alla fine della storia ha il suo peso, perché l’assenza di questi uomini facilita il compito della riunione degli altri.

Alla luce di quanto verificatosi alla base del cratere in attività, della nube piroclastica in discesa libera verso la valle del Bove, prima di sera viene ratificata un’ordinanza. La legge approvata vieta l’accesso alle quote sommitali e l’interdizione dell’intera Valle del Bove. Si mobilitano gli sceriffi con le divise di diverso colore, vengono attaccati gli avvisi ai pali di legno e i trasgressori verranno puniti a norma di legge.

Non esistono nubi piroclastiche sull’Etna e quella che si è verificata nei giorni scorsi è stata semplicemente una frana, grande, con scivolamento del materiale misto a ghiaccio e neve. I flussi piroclastici delle nubi omonime sono molto pericolose e fanno parte di un’altra tipologia di vulcani. Se pericolo c’è sull’’Etna, è molto limitato e può essere escluso con un percorso d’intervento istituzionale diverso. Nel giro di un pomeriggio, con una legge marziale del genere, si torna ai posti di blocco degli anni passati, con la differenza che andare a vedere – per chi avesse voglia, cuore e gambe – il lento fronte lavico che avanza nella Valle desolata, non ha alcun paragone con l’intralcio che si poteva arrecare ai mezzi tecnici al lavoro sul fronte dell’83 al piazzale del Sapienza.

Venerdì pomeriggio si è voluta mancare un’opportunità. Sarebbe stato un esempio di Stato civile impegnarsi in un’opera di coordinata informazione tra gli enti e le forze di polizia, per una corretta e controllata fruizione di un sito patrimonio dell’uomo. Perché non c’è nessun divieto sulle Dolomiti patrimonio dell’uomo a praticare fuoripista in condizioni di pericolo valanghe; ci sono solo «percorsi sconsigliati». E i morti per valanga, si contano; quelli per colata etnea, no. Questa legge non è affatto dettata dall’ignoranza. E’ quel piacere tutto umano di detenere posizioni accreditate di conoscenza – e di certuni, di umanissima voglia di farsi notizia; è questa patente d’influenza che ha facilitato la semplicità del divieto sulla complessità dell’informazione e del presidio per la conoscenza di tutti.

Vi immaginate, cosa significherebbe un’organizzazione che permette di far vedere ai turisti di Taormina o di Siracusa il fronte lavico che avanza. O far capire agli studenti che la lava non è fuoco e che c’è una spinta più forte della gravità, che si chiama Terra, il cuore vivo di questo mondo che è come il nostro, che ci fa amare e sbagliare per la sola passione di vivere. V’immaginate, no? Sarebbe una follia.
La realtà invece è questa e io sto certamente sbagliando a descrivere i contorni della mia posizione.

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