Teatro romano, l’intervento di Dario Palermo «Il laghetto non va distrutto, ma studiato»

Non è facile dirimere la spinosa questione del laghetto del Teatro antico di Catania, che dopo la segnalazione di CTzen ha avuto così grande eco nella comunità catanese, dimostrando così – ed è un fatto certamente positivo – l’attaccamento e l’interesse di molti cittadini nei confronti di questo grande monumento ritrovato dalla città negli ultimi decenni.

Non bisogna dimenticare infatti che, fino agli anni tra le due guerre, praticamente nulla si conosceva del teatro della Catina romana, che prende il posto e si sovrappone a quello della Katane greca, racchiudendo al suo interno anche altre preziose testimonianze della città greca: un monumento che riassume millenni di storia della città, e che dopo le avventurose indagini del principe di Biscari nel XVIII secolo, doveva aspettare il ‘900 per cominciare ad essere sgombrato delle innumerevoli superfetazioni delle quali oggi, dopo decenni di espropri e insieme di indagini stratigrafiche di restauri magistralmente eseguiti prima dalla Soprintendenza di Siracusa e poi da quella di Catania, condotti da Maria Grazia Branciforti, è finalmente in larga parte libero.

Proprio la tutela di questo monumento, che costituisce un prezioso e delicatissimo palinsesto delle vicende storiche di Catania, e il cui recupero ha impegnato abbondanti fondi pubblici, nonché l’intelligente e attenta attività di studiosi e funzionari – tutela, attenzione, che costituisce un dovere costituzionale e sancito dalla legge – insieme alla possibile valorizzazione a fine turistica e in genere culturale, è il primo dovere delle istituzioni preposte e il primo interesse che la cittadinanza dovrebbe perseguire.

E qui si innesta la questione del laghetto, che è un fatto probabilmente accidentale e che, a quel che sappiamo, nel tempo va comparendo e sparendo seguendo le alternanti vicende della falda acquifera dell’Amenano. È ben noto infatti che questo fiume, che nell’antichità doveva costituire un elemento caratterizzante del paesaggio naturalistico e urbano della città, tanto da essere raffigurato nella sua monetazione, deve essere stato in vista per tutto il periodo medievale, e interrato forse solo dalla lava delle eruzioni dell’Etna: sparito alla vista ma non scomparso, tant’è vero che l’acqua che da esso esonda infradicia tutto il sottosuolo della parte centrale di Catania, emergendo con una polla di acqua purissima nell’area dell’orchestra del teatro e creando così un piccolo specchio d’acqua che costituisce un laghetto urbano abitato da pesci, rane, tartarughe d’acqua e sede occasionale di qualche migratore che, mentre sorvola la città, adocchia la pozza e vi si dirige per riposarsi e rifocillarsi nella tranquillità che un ambiente protetto può fornire. Finisce così che anche questo piccolo ambiente umido diventa elemento di attrazione per turisti e cittadini, degno forse anch’esso di essere tutelato.

Non dimentichiamo comunque l’accidentalità di tale presenza, che non doveva esistere al tempo in cui il monumento era attivo. È vero che, così come lo vediamo, il teatro non è certo quello dell’antichità. Esso è ciò che se ne è conservato della struttura antica, e ciò che risulta dai secoli di abbandono e poi dagli interventi che vi sono stati effettuati: non è quindi la purezza filologica delle strutture quella che si può richiedere da esso, ma la testimonianza di millenni di interventi umani che ne hanno mutato il volto. È anche vero che è possibile che l’acqua fosse stata utilizzata nell’antichità, e soprattutto nei bassi tempi, per spettacoli di arte varia: l’immagine delle fanciulle in bikini del famoso mosaico della Villa Romana di Piazza Armerina ci fornisce un quadro famoso di questo genere di spettacoli, ma certo la presenza dell’acqua non doveva essere costante ma riservata soltanto a determinate occasioni.

In definitiva, la presenza del laghetto del quale, ad intermittenza, io personalmente ho ricordo a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, è fenomeno esclusivamente moderno e non in rapporto con il monumento antico. Ciò significa che esso può essere sacrificato e distrutto per salvaguardare il monumento antico? Per tutti i motivi che abbiamo detto sopra, e anche perché la sua presenza dà un tono speciale, di unicità, al monumento catanese, io penso di no. È però vero che il fenomeno non può non essere governato. Esso richiede una attenta valutazione della sua incidenza sulle strutture antiche, della situazione idrogeologica dell’area, delle eventuali conseguenze che il drenaggio potrebbe determinare, e non ultimo dell’aspetto naturalistico. Non si può fare tutela, infatti – né tutela del monumento né tutela naturalistica – se non si ha precisa conoscenza dei diversi fattori che concorrono a formare le situazioni da preservare e proteggere.

Ben vengano allora, in questa prospettiva, approfondimenti e indagini diagnostiche; che non dubitiamo che verranno portati a compimento con l’attenzione, la cura e la passione che le istituzioni preposte – oggi il Parco Archeologico di Catania – hanno sempre dimostrato nei confronti di un monumento, e di tante pagine di storia, che in decenni di dedizione e di duro e spesso incompreso lavoro hanno restituito alla città e ai suoi abitanti.

Dario Palermo è professore ordinario di Archeologia classica e direttore del dipartimento di Scienze della formazione dell’università di Catania.

[Foto di Iorga Prato]


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